Umano, troppo umano, scriveva Nietzsche. Ma cos'è davvero l'uomo? E fino a quando potremo distinguerlo dalle intelligenze virtuali?

Nel 1950, Alan Turing propose al mondo il celebre “test di Turing“: un esperimento in cui una macchina, interagendo con un interrogatore umano, tenta di convincerlo di essere una persona. Dopo 74 anni, siamo forse più vicini che mai a una risposta definitiva.

 

Gli studi con il test di Turing

Recenti studi condotti presso l’Università della California suggeriscono che le intelligenze artificiali moderne possano ingannare gli esseri umani, almeno in alcuni contesti. Questo fenomeno solleva interrogativi fondamentali sull’evoluzione delle IA e sulle nostre percezioni di intelligenza e umanità.

Sebbene Alan Turing abbia inizialmente concepito il test come un’istanza di misurazione dell’intelligenza, molti critici hanno sollevato dubbi sulla sua validità nel valutare la vera comprensione e coscienza. Gli esseri umani, infatti, hanno una tendenza innata a proiettare attributi umani su oggetti e fenomeni non umani, un fenomeno noto come antropomorfizzazione.

Nel recente studio, sia ChatGPT-4 che ChatGPT-3.5 hanno raggiunto un tasso di convincimento del 50% tra i partecipanti umani, un risultato significativo ma ancora lontano dall’essere definitivo. Questi modelli sono stati confrontati con ELIZA, uno dei primi esempi di IA sviluppati nel 1960 presso il MIT, che ha ottenuto un modesto tasso di convinzione dell’22%.

Secondo Nell Watson, esperto di intelligenza artificiale presso l’IEEE, ELIZA era limitata da risposte predefinite, mentre le moderne IA come ChatGPT sono capaci di una conversazione più fluida e contestualmente sensibile. Questo progresso solleva la questione se ChatGPT abbia effettivamente superato il test di Turing, almeno in parte.

 

Cosa significa essere umani

I risultati suggeriscono anche che il test di Turing potrebbe non essere una misura definitiva di intelligenza o coscienza, ma piuttosto un indicatore probabilistico. I partecipanti al test erano più inclini a concentrarsi su elementi come lo stile linguistico e la capacità di interazione socio-emotiva, anziché su conoscenze e ragionamenti formali.

L’evoluzione delle IA continua a sfidare le nostre concezioni di cosa significhi essere “intelligente” e “umano“. Studi recenti hanno dimostrato che le IA possono aiutare a identificare varianti della depressione, suggerendo potenziali applicazioni future nella comprensione e nel trattamento delle malattie mentali.

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