Il servizio di posta elettronica gestito da Google non chiede soldi ma guadagna con la pubblicità. Finalmente è stato scoperto perché ciò che sembra gratis ci “costa” lo stesso visti i costi pubblicitari che vengono applicati dalla società di Mountain View.
Internet è piena di servizi gratuiti. Non è un segreto, però, che la maggior parte di questi si regge sui guadagni che derivano dalla pubblicità. In molti casi è piuttosto visibile, come nel caso dei programmi che visualizzano gli annunci di fianco al sistema di controllo. Con Gmail le cose sono diverse: i messaggi non contengono annunci pubblicitari. Come guadagna dunque Google? Memorizzando tutte le informazioni che ci riguardano e “rivendendole” ai suoi clienti.
Siamo sotto controllo
Se leggiamo attentamente le condizioni di utilizzo del servizio Gmail, scopriamo che tutte le informazioni che ci riguardano, compreso il contenuto delle email, viene analizzato da Google. La società specifica che i suoi sistemi “analizzano i contenuti dell’utente (incluse le email) al fine di offrire funzionalità dei prodotti rilevanti a livello personale, come risultati di ricerca personalizzati, pubblicità su misura e rilevamento di spam e malware.
Questa analisi si verifica nel momento in cui i contenuti vengono trasmessi, ricevuti e memorizzati”. Insomma, un po’ come se il nostro postino leggesse tutte le lettere che ci arrivano per capire quali pubblicità possono interessarci di più e infilarle nella casella della posta. Ovviamente, a Google non interessa sapere esattamente chi siamo o collegare un nome o cognome al profilo che creano. Gli importa invece avere un “ritratto” delle nostre abitudini per poter vendere gli spazi pubblicitari su Gmail.
Grazie a questa attività di controllo, Google può assicurare ai suoi clienti di mostrare la pubblicità giusta alla persona giusta, nel momento giusto. Le stesse informazioni vengono usate anche per gli annunci pubblicitari che compaiono nella pagina di Google quando facciamo una ricerca. Non stupiamoci, quindi, se mentre stiamo trattando per affittare una casa al mare ci compare la pubblicità di un albergo che si trova proprio nella stessa zona o, misteriosamente, compare l’annuncio di una promozione per una macchina fotografica mentre ne stiamo cercando una per regalarla a un amico o un parente.
Non solo le email
Le informazioni raccolte da Google non si limitano ai messaggi di posta elettronica che inviamo o riceviamo. Tutti i servizi gratuiti offerti dal gigante del Web sono pensati per raggiungere lo stesso obiettivo. A partire dal motore di ricerca, passando per il traduttore online per arrivare al servizio di mappe Google Maps, tutto è studiato per creare un profilo accurato delle nostre abitudini e dei nostri gusti.
Sommando tutti gli ambiti in cui possiamo utilizzare un servizio targato Google, significa che da qualche parte sono raccolte informazioni riguardo i luoghi in cui siamo
andati, i libri e le notizie che leggiamo, la squadra di calcio per cui tifiamo, i film che ci interessano, i nostri hobby, credenze religiose e idee politiche.
Qual è il metodo con cui Google ci riconosce? Il metodo più ovvio è l’uso dell’account Gmail, richiesto per alcuni servizi. Ad esempio quando vogliamo avere a disposizione i nostri preferiti quando usiamo il programma per la navigazione Chrome.
Google però utilizza anche i cookie, piccoli file di testo che vengono memorizzati sul nostro programma per la navigazione su Internet e che permettono ai siti di “riconoscerci” quando ci colleghiamo. Se da una parte i cookie sono utili, perché permettono ad esempio di trovare le nostre impostazioni personalizzate quando ci colleghiamo a un sito, dall’altra ci rendono facilmente riconoscibili.
Se si trattasse soltanto della pubblicità, la questione non sarebbe poi così grave. La regola per cui “nessuno dà niente per niente” vale anche su Internet, a maggior ragione quando si parla di aziende così grandi e ricche. Certo, esiste il rischio che qualcuno rubi le informazioni a Google.
Lo scandalo del cosiddetto Datagate, che ha rivelato al mondo le attività di spionaggio del governo americano, è un esempio di come informazioni simili possano essere usate in maniera “impropria”. Il vero problema, però, è un altro. Google utilizza le informazioni che raccoglie su di noi anche per selezionare i risultati delle ricerche online. Lo spiega chiaramente nella sezione dedicata alla privacy delle sue condizioni d’uso: “Se un utente ci fornisce informazioni, ad esempio creando un account Google, possiamo migliorare ulteriormente i servizi in modo da visualizzare risultati di ricerca e annunci più pertinenti”.
In teoria, siamo portati a pensare che il risultato di una ricerca sia qualcosa di “neutrale”. A causa di questa politica, invece, non è così. Google, infatti, utilizza tutte il nostro profilo per selezionare i risultati che, a suo giudizio, ci potrebbero essere più utili.
Nel caso della ricerca di un prodotto in vendita, per esempio, potrebbe decidere di mostrarci i risultati dei negozi vicino al nostro luogo di residenza o vicino al posto in cui ci troviamo nel momento in cui ci colleghiamo.
Oppure uno che si trova nelle vicinanze dei luoghi che frequentiamo abitualmente e che abbiamo cercato spesso su Google Map. Verificare tutto questo non è difficile: basta provare a fare la stessa ricerca sul motore di ricerca usando due computer diversi, appartenenti a persone diverse. Spesso i risultati cambieranno da uno all’altro. Possiamo sfuggire a tutto questo? In te-: oria sì. Basterebbe non usare alcun servizio di Google. Qualcuno è pronto a farlo?