“Ma non erano poveri quei migranti? Con quali soldi si sono comprati quegli smartphone?”. Questa è una delle domande più frequenti che corrono sui social, alla vista dei migranti siriani o iracheni giunti in Grecia armati di smartphone.
Un giornalista del “The Indipendent” ha risposto in maniera piccata a queste polemiche, dando degli idioti a coloro che ponevano dubbi sulla povertà dei rifugiati. Nel contempo, però, ha argomentato bene come i siriani e iracheni non siano proprio dei poveri in canna, e di come il basso prezzo di molti smartphone e degli iPhone 3G (inferiori alle 100 sterline) sia abbordabile anche per i salari medi in Siria e Iraq. A questo dato vanno aggiunte anche le recenti stime degli analisti di IDC, secondo le quali Africa e Medio Oriente sono ai primi posti del mercato degli smartphone. Solo nel 2015 in queste due regioni sono stati venduti 155 milioni di devices.
Ma soprattutto è emersa un’altra questione: questa spesa è “indispensabile”, perché un cellulare diventa necessario come il cibo o dei vestiti quando si affronta un esodo che va dal cuore del conflitto con l’ISIS sino alla Germania, e può durare dei mesi.
La grande migrazione che parte dalle zone interessate dalla guerra civile in Medio Oriente (Siria, Iraq, Curdistan) e arriva sino alle coste greche, per poi risalire lungo i Balcani, è una sorta di “Esodo 3.0”. La grande fiumana di uomini, donne, bambini si muove con l’ausilio di Google Maps, di Viber, di Whatsapp, dei social in generale. Al di là delle telefonate per chiamare a casa, e magari dire “sono vivo”, ci sono tantissime altre esigenze che si presentano lungo il viaggio che porta queste migliaia di persone a riversarsi nel cuore dell’Europa.
La tecnologia ha avuto un forte impatto nella storia politica del Nord-Africa, come abbiamo visto durante le fasi della cosiddetta “primavera araba”, agendo come strumento per chiamare alla mobilitazione. Adesso la tecnologia svolge una funzione accessoria agli innumerevoli problemi che sorgono in tutte le fasi di un lungo viaggio che interessa ogni giorno migliaia di persone.
Ci troviamo di fronte ad un cambiamento radicale nel modo di gestire le grandi migrazioni, rendendo innanzitutto più facile muoversi per milioni di persone. Ha intensificato la pressione su rotte che dimostrano di avere “successo” – come attraverso i Balcani, dove ogni giorno circa 3.000 persone, secondo le stime dell’ONU, continuano ad attraversare il confine dalla Grecia in Macedonia.
Da un lato abbiamo i migranti, che letteralmente “dipendono” dagli smartphone per inviare aggiornamenti in tempo reale sui percorsi, gli arresti, i movimenti delle guardie di frontiera e la presenza di trasporti, così come dei luoghi di soggiorno, dei prezzi, e ovviamente rimanere in costante contatto con familiari e amici. I migliori alleati in questo difficile percorso sono i carica-batterie e ovviamente gli attacchi alla rete elettrica, soprattutto se consideriamo tutte le privazioni e le difficoltà che durante il viaggio s’incontrano.
Dall’altro lato abbiamo le organizzazioni criminali, che sfruttano la Rete e i social per offrire i loro “servizi”. I trafficanti si pubblicizzano su Facebook, su delle pagine, come qualsiasi agenzia di viaggio, con tanto di fotografie delle città di destinazione, di listini ed offerte speciali. E i prezzi vanno dai 1700 euro da Istanbul a Salonicco in Grecia, 1900 euro inclusa l’automobile che porta alla frontiera. Lo sconto per i bambini sotto i 5 anni è del 50%.
Gruppi Facebook in lingua araba servono poi a coordinare le partenze, a dare informazioni a coloro che devono ancora mettersi in viaggio, a spedire foto dai luoghi attraversati. Tra i gruppi più partecipati c’è “Contrabbando in Unione Europea” che conta 24mila membri, e “Come migrare in Europa” con i suoi 40mila utenti. Questa modalità di scambio informazioni ha permesso ai migranti di organizzare i viaggi in autonomia, by-passando così l’intermediazione dei trafficanti. E, come in ogni modello di libero mercato che si rispetti, anche i trafficanti sono stati costretti a dimezzare i loro listini rispetto alle prime fasi del conflitto per far fronte alla concorrenza.
Che la tecnologia sia necessaria come il pane, per questi massicci esodi, lo dimostra anche l’intervento dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Infatti, da quanto riferisce il “New York Times”, sono state distribuite dall’UNHCR 33.000 schede SIM ai rifugiati siriani in Giordania e 85,704 lanterne solari che possono anche essere utilizzate per ricaricare gli smartphone.
Ma per chi ha perso tutto in guerra, come famiglia e casa, uno smartphone è anche un’appendice di memoria. Porta con sé foto, ricordi, voci di un angolo di mondo martoriato. Un passato da non dimenticare.