Con tutto il rispetto, caro Zuckerberg, ma proporre a poche ore da un attentato sanguinario l’ennesima applicazione per creare cordoglio a comando è un atto di sciacallaggio. Stiamo parlando ovviamente dell’ondata di tricolori francesi che ha invaso le foto profilo del social network già poche ore dopo i terribili attentati che hanno sconvolto Parigi.
Siamo ormai così smaliziati, come opinione pubblica, da aver già inteso perfettamente che Facebook non è un ente benefico, ma un’azienda che macina milioni di dollari a suon di accessi al sito, interazioni e aggiornamenti. Su questo aspetto non c’è nulla da eccepire, perché rientriamo nella libertà d’iniziativa economica. Ma sfruttare tragedie per convogliare il dibattito pubblico all’interno del proprio “mercato delle vanità” di Facebook è qualcosa che ci spinge a chiamare le cose con il loro nome: sciacallaggio, appunto.
Già tempo fa ci aveva provato il signor Zuckerberg a creare hype sulla questione dei diritti civili, cavalcando la sentenza della Corte Suprema Usa in merito ai matrimoni gay. In quell’occasione il semplice atto di cambiare foto profilo inserendo i colori arcobaleno aveva garantito a Menlo Park l’afflusso di una mole di dati enorme.
Infatti le foto profilo arcobaleno erano una vera e propria indagine di mercato sui “sentimenti”, utilizzata per raccogliere una considerevole quantità di informazioni sugli utenti e sul funzionamento delle reti sociali, e soprattutto per studiare la viralità di alcune campagne di opinione. In quel caso 26 milioni di utenti in poche ore cambiarono la loro foto profilo.
Va considerato anche un altro aspetto, però, oltre all’indagine di mercato compiuta da Facebook. Ovvero che le ondate emozionali, che siano di approvazione o di sdegno per una notizia, seguono canali spesso irrazionali e – a dirla tutta – conformisti. Gente che non sapeva fino a ieri se il blu nel tricolore francese andava a destra o a sinistra si ritrova incanalata in un flusso di foto profilo per esprimere il proprio cordoglio: un gesto di adesione che, per quanto simbolico, ha bisogno di essere “spiegato” per non risultare di pura facciata. O, ancora peggio, c’è chi salta direttamente l’app messa a disposizione da Facebook per cambiare foto profilo, e propone un selfie con viso addolorato accanto a qualche simbolo che ricordi la Francia. Nelle ultime 48 ore stiamo vedendo anche questo, purtroppo. Qual è il messaggio preciso che stiamo mandando ai terroristi? Che ci sentiamo così liberi e democratici da non riuscire ad elaborare una tragedia senza trasformarla in farsa?
Chiarito il punto che Facebook adopera le nostre emozioni per riempire il suo portafogli grazie alle ads presenti sulla piattaforma, e chiarita anche la natura “conformista” che possono assumere i sentimenti di cordoglio sui social, rimane aperta una domanda: la “solidarietà da divano” a chi giova? Non giova alla politica, che si vede sempre meno pungolata dalle piazze reali e sempre più incapace di gestire il “credito” che le viene concesso con il voto. Non giova alla lotta all’estremismo religioso, perché i terroristi si faranno grasse risate delle nostre bandiere francesi sui profili. Non giova in generale alla capacità di articolare ragionamenti e riflessioni, i quali richiedono una capacità di astrazione e informazione che “brucia” più della mezza chilo-caloria necessaria a cambiare foto profilo.
Forse il tricolore è meglio lasciarlo alle luci che illuminano in queste ore i maggiori monumenti. I monumenti non parlano, non si spostano dalle piazze. Forse agli esseri umani di buona volontà si richiede un impegno ben più gravoso di un like o di una condivisione: si richiede di essere cittadini e non utenti. Questo è il miglior servizio che possiamo rendere alla cultura occidentale nella lotta contro la barbarie terrorista.