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Il terrorismo ai tempi delle applicazioni. L’affaire Isis e Telegram

I fatti di Parigi dei giorni scorsi, oltre ad aver scosso le menti delle persone, ha alimentato una serie di timori riguardo i mezzi a disposizione dell’Isis per pianificare i propri attentati. E se una comune applicazione fosse lo strumento da loro utilizzato?

Per anni, i gruppi terroristici e le forze dell’ordine di tutto il mondo sono stati protagonisti di un continuo gioco tra “gatto col topo”. Se l’uno cerca nuove piattaforme mediante le quali comunicare e organizzare, l’altro è alla continua ricerca di fronteggiare tale rischio. Ultimamente, le applicazioni di messaggistica, sempre più sicure grazie alla possibilità di nascondere i messaggi degli utenti da occhi indiscreti, hanno fornito a queste organizzazioni un modo relativamente semplice per comunicare. Ciò solleva una questione dibattuta aspramente dagli analisti della sicurezza e dai sostenitori della privacy: fornire servizi di crittografia aperti a tutti significa “appoggiare” i terroristi?

L’affaire Isis e Telegram

La questione è stata risollevata all’indomani della rivendicazione da parte dell’Isis degli attacchi di Parigi. E proprio a mezzo Telegram, ovvero l’applicazione che crittografa i messaggi. Un servizio di messaggeria talmente sicuro che molti hacker sono stati invitati a partecipare per penetrare nei sistemi di sicurezza per estrapolare dati segreti. L’applicazione registra al momento 60 milioni di utenti attivi al mese, con un invio 12 miliardi di messaggi al giorno, tra i quali alcuni sono senza dubbio legati alla attività terroristiche.

Il servizio, originariamente sviluppato per aiutare i russi ad eludere la sorveglianza del proprio governo, sarebbe consapevole del fatto che criminali e terroristi possono usarlo. “Il nostro diritto di privacy è più importante della nostra paura che accadono brutte cose, come il terrorismo“, afferma il co-fondatore di Telegram, Pavel Durov, “In ultima analisi, l’Isis troverà sempre un modo per comunicare e, se qualsiasi altro mezzo di comunicazione si rivelasse poco sicuro per loro, basterebbe passare ad un altro. Quindi, non credo stiamo prendendo parte a queste attività”.

Eppure Telegram ha fatto diverse concessioni agli organismi governativi già in passato, in particolare quando si impedì agli utenti iraniani di diffondere atti di pornografia. In quell’occasione, Durov dichiarò che si trattava di una “decisione d’affari”, sebbene non voleva che Telegram venisse “percepito come una fonte per la pornografia“.

Sarebbe interessante sapere cosa direbbe oggi, Durov. Telegram, comunque, non ha risposto alle richieste di commenti.

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Pubblicato da
Federica Vitale