Dei ricercatori del MIT hanno scoperto che le principali app inviano e ricevono una grande quantità di dati nascosti, il 50% dei quali non serve realmente per il funzionamento stesso delle applicazioni. Dove finiscono questi dati e per cosa vengono usati?
Viviamo in un mondo sempre più online, sempre più connesso, dove la “traccia digitale” della nostra vita (sotto forma di dati e informazioni) diventa giorno dopo giorno sempre più fedele a quella reale, fin troppo.
Facebook e in social network in generale sono solo i principali canali attraverso cui possiamo farci scappare più dati di quelli che volgiamo davvero pubblicare; rappresentano la punta dell’iceberg. Esistono infatti molte altre strade attraverso cui, a nostra insaputa e in maniera quasi insospettabile, i nostri dati vengono sottratti al nostro controllo.
Secondo un recente studio dei ricercatori del MIT, la maggioranza delle principali applicazioni
Android invia e riceve una grande quantità di dati nascosti. Fin qui, nulla di eclatante; infatti, buona parte di questi dati sono di tipo analitico e di reportistica e servono agli sviluppatori per controllare il funzionamento delle proprie applicazioni. Tuttavia, la vera sorpresa è che quasi il 50% di questi dati nascosti non è veramente necessario per il funzionamento delle applicazioni stesse.Per provarlo, i ricercatori del MIT hanno modificato 47 tra le più diffuse applicazioni Android, bloccando la comunicazione di questi dati nascosti, e hanno confrontato le loro funzionalità rispetto a quelle delle app originali.
Su 47 applicazioni modificate, 30 hanno funzionato in maniera indistinguibile dalle originali; le restanti applicazioni hanno riscontrato solo problemi di funzionamento minori.
I risultati di questa indagine non sono per forza da interpretare in senso preoccupante e non sono neanche da considerarsi limitati al mondo delle app di Andorid; riguardano, infatti, anche le applicazioni di altri sistemi operativi, tra cui iOS.
La domanda sorge spontanea.
I ricercatori del MIT non sono riusciti a identificare il tipo di dati e il loro scopo; le app analizzate, infatti, sono proprietarie e quindi non è stato possibile accedere a parte di codice.
Probabilmente, questi dati servono per fini innocui ma sta di fatto che vengono messi a rischio senza che ce ne sia realmente bisogno, a maggior ragione se in mano a sviluppatori poco attenti.