Facebook e Twitter saranno il nostro visto di ingresso negli Stati Uniti. In particolare, ad essere analizzati saranno alcuni dati, presenti su entrambi i social network, e utili come parametri di valutazione per il rilascio del visto.
Tuttavia, l’accordo definitivo non è ancora certo. Si tratta, infatti, di un piano che il dipartimento di Sicurezza degli Stati Uniti starebbe seriamente valutando per tenere ulteriormente sotto controllo gli ingressi al confine. E, probabilmente, la strage di San Bernardino potrebbe essere stata la miccia scatenante di tale decisione. L’amministrazione Obama, infatti, ha incentivato una maggiore e più incisiva severità nei controlli. L’obiettivo è quello non di creare una sorta di confine invalicabile e inaccessibile nel sogno americano, ma un controllo più penetrante al fine di permettere l’ingresso solamente ai profili più sicuri e affidabili.
Ovviamente, anche tramite i social media. In piena linea con l’era 2.0. Tuttavia, ci sarebbero alcune lacune da colmare. Innanzitutto, un aspetto da considerare è quello legato alla privacy. Così facendo, infatti, con l’attuazione di questo “programma social” di sicurezza, le autorità statunitensi avrebbero automaticamente accesso illimitato ai dati privati di ogni individuo.
Inoltre, è da alcuni anni che grazie al Visa Waiver Program, i cittadini di 38 paesi, tra i quali anche l’Italia, hanno libero accesso negli Usa per un periodo di tempo determinato a 90 giorni, senza essere in possesso del visto. Di questi paesi, però, restano esclusi tutti i cittadini che, nel corso degli ultimi 5 anni, si sono recati in posti ideologicamente “a rischio”, come Siria e Iraq, ma anche Egitto e Sudan, Libia, Yemen, e ancora Afghanistan e Pakistan, oltre alla Colombia e il Venezuela.
Sempre di nuova acquisizione è l’utilizzo del passaporto con chip elettronico. Un altro escamotage di cui si servono le autorità governative statunitensi per controllare i viaggiatori e “per stanare eventuali terroristi e criminali”.
Ora, la domanda è di ordine strettamente personale, visto che ad essere “violati a norma di legge” saranno i nostri account su due dei più importanti social media. E tutto in nome della sicurezza e delle misure antiterrorismo necessarie dopo i fatti di cronaca di recente accaduti. E, molto probabilmente, per il fatto che proprio questi sono stati realizzati da cittadini residenti proprio nei paesi da essi stessi colpiti. Tuttavia, c’è un altro aspetto da considerare: sono proprio i social, come i servizi di messaggeria istantanea (Telegram su tutti) a veicolare informazioni. E a servire da canale di comunicazione tra i terroristi. Probabilmente, si dovrebbe lavorare maggiormente su questo aspetto. Magari concentrando indagini su questo dettaglio non trascurabile: indirizzare le proprie analisi su determinati profili, anziché mettere la comunità sotto osservazione. Ma è pur vero il contrario, qualcuno potrebbe obiettare: dopotutto, essere su un social equivale a mettere “in piazza” la nostra vita. Se non si ha nulla da nascondere, evidentemente nemmeno dovrebbe interessarci chi e cosa possa analizzare chi siamo e cosa facciamo. Come sempre, dunque, in materia di social media e sicurezza, la ragione sta sempre nel mezzo.