Aggiunti quattro nuovi elementi alla tavola periodica. Lo rende noto lo IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry), il quale ha ufficializzato il completamento della settima riga della tavola di Mendeleev.
Chiunque abbia varcato la soglia di un laboratorio di scienze l’ha vista lì, campeggiare sulla parete. E chiunque abbia studiato chimica alle superiori ha considerato la tavola una sfida. Una sfida che ora va verso il suo completamento e quella griglia di elementi esistenti e dalla forma un po’ strana diventa più completa. Si tratta, infatti, di elementi scoperti solo di recente e, precisamente, da alcuni team internazionali, tra i quali quelli formati da scienziati giapponesi, russi e statunitensi.
Come si compone
La “temibile” tavola apre con l’idrogeno e prosegue con l’elio, rispettivamente composti da un protone e un elettrone e da due protoni, due neutroni e due elettroni. Proseguendo nella griglia, si giunge all’uranio, che ha 92 protoni ed elettroni, oltre a più di 140 neutroni. E via discorrendo, passando per gli elementi “transuranici”, ovvero quelli radioattivi, creati artificialmente dall’uomo.
Ed è in questa categoria che sono stati scoperti i nuovi 4 elementi che vanno a completare la tavola periodica. Si tratta dell’ununtrio (113), l’ununpentio (115), l’ununseptio (117) e l’ununuoctio (118). Nomi provvisori e, probabilmente non facilmente memorizzabili per noi comuni mortali. Ma si attende che il nome effettivo sia deciso e stabilito dagli stessi scopritori. Il nome definitivo del primo elemento, ad esempio, sarà attribuito dal team giapponese del Riken Institute che l’ha scoperto, mentre la denominazione degli altri tre sarà demandata al team di scienziati russi dell’Istituto unito per la ricerca nucleare di Dubna e ai ricercatori del Lawrence Livermore National Laboratory degli Stati Uniti.
Per chi volesse giocare al piccolo chimico, comunque, c’è da avvertire che non sono elementi che si potranno mai trovare in natura. Questi, infatti, non sono naturali e possono essere prodotti esclusivamente in laboratorio. Sono dovuti allo scontro di nuclei di altri materiali negli acceleratori nucleari e hanno una vita che si misura in milionesimi di secondo. La loro struttura è decisamente troppo grande per poter mantenere una propria coerenza strutturale e, di conseguenza, sono destinati a “scindersi” in elementi più leggeri, per poi terminare la loro funzione stabilizzandosi quando diventano piombo o materiali simili. Il tutto nel breve lasso di tempo vitale di una frazione di secondo. Ecco, dunque, quel che ha reso molto complicata la loro scoperta.
Prossimo obiettivo? Il team di ricercatori giapponesi vuole spingersi oltre. Oltre il 119esimo elemento.