Abbattere il rischio di incorrere nella leucemia dal 68,7 al 32,2 per cento. Potrebbe essere possibile se, dopo il trapianto, nel paziente viene trasferito anche il sistema immunitario del donatore per via endovenosa.
Per i malati di leucemia, dunque, una nuova strada verso la speranza di guarigione dopo il trapianto di midollo. Infatti, le complicazioni e i rigetti post operatori sono, purtroppo, molto numerosi e, a volte, risultano essere anche più gravi della malattia stessa. La soluzione, dunque, pare più semplice di quel che si creda: ovvero, capire perché ciò accade e fare in modo di bloccarne il verificarsi.
Lo conferma Francesca Bonifazi, del Sant’Orsola di Bologna, che ha studiato il caso per oltre 10 anni. “In questo modo si ottengono due risultati e cioè che i linfociti combattono lo stesso la leucemia ma non attaccano gli organi sani“, spiega la dottoressa. “I globuli bianchi del donatore attaccano sì le cellule cattive, ma rischiano di danneggiare seriamente gli organi del trapiantato con effetti drammatici“.
La scoperta è frutto della collaborazione tra medici italiani e colleghi tedeschi, i quali hanno condotto una serie di test su un considerevole numero di pazienti. “Durante il ciclo di chemioterapia che precede il trapianto viene iniettato nel paziente un siero“.
Si tratta di uno speciale farmaco in grado di stordire i linfociti del donatore. In tal modo, ed è questo lo scopo primario dei ricercatori, ci si vuole avvalere di un farmaco che sia capace di bilanciare l’effetto del sistema immunitario del donatore e, di conseguenza, non produca i consueti effetti che in genere seguono un trapianto. Ma, anzi, elimini allo stesso tempo le cellule cattive prodotte dalla leucemia.
Questa soluzione dovrebbe quindi preparare il corpo del ricevente con un ciclo di chemio, nel quale viene immesso il farmaco che “disturba” i linfociti. In tal modo, questi resteranno forti abbastanza da riconoscere il nemico principale, ovvero la causa principale che al momento ha portato all’operazione – la leucemia – ma gli sarà possibile attaccare l’ambiente circostante – il corpo nuovo .
Con questa nuova tecnica, saranno limitati i rischi di morte. “Questo è lo studio della mia vita, al quale lavoro da dieci anni“, racconta la dottoressa italiana. Il cui studio è stato pubblicato sulla rivista “New England Journal of Medicine”.