Dipendenza da smartphone. Sempre di più veniamo condizionati dai nostri dispositivi: a pranzo e a cena, al bagno e a letto, potremmo definirla una vera e propria “malattia tecnologica”. Pensiamoci bene: quante volte abbiamo detto: “mi è sembrato di sentir squillare/vibrare il cellulare” quando, invece, questo giaceva impassibile e freddo sul tavolo, in borsa o in tasca?
La dipendenza da smartphone è stata oggetto di un recente studio effettuato in Gran Bretagna. Grazie al quale si è dimostrato che un eccessivo uso dei dispositivi contribuisce ad aumentare lo stress. Tanto da averne coniato un termine e una teoria: “sindrome da vibrazione fantasma”.
Questa si verifica quando ci si abitua a portare il cellulare in tasca per periodi prolungati di tempo. Spesso – e fateci caso – si finisce anche per dimenticarlo di averlo messo proprio lì.
Robert Resenberger è l’autore dello studio inglese. “Si percepiscono e scambiano come vibrazione del cellulare quelli che in realtà sono dei piccoli e frequenti spasmi muscolari”, spiega il ricercatore. Il cui studio ha dimostrato che, a soffrirne, sono maggiormente gli studenti universitari (circa il 90 per cento), sebbene la sindrome colpisca negli ultimi tempi sempre più persone. Ad essere colpite sono 9 persone su 10, infatti. Una dipendenza vera e propria, dunque, che porta a percepire e scambiare come vibrazioni quello che in effetti non lo è.
Ad ogni modo, le spiegazioni sembrano essere due: “Una è che la tecnologia sta modificando il nostro cervello, l’altra è che siamo semplicemente ansiosi e la continua esposizione a messaggi, email e telefonate finisce pere rendere irritabili gli utenti“, commenta Rosenberg.
La conclusione è che, se all’inizio lo smartphone era un “must” da avere per migliorare la qualità della vita, nel giro di pochi anni questo stesso oggetto è finito per diventare una fonte di stress e ansia. Non è la prima volta, infatti, che si parla di questo fenomeno. Già nel 2006 si parlò per la prima volta della “sindrome da squillo fantasma”, per la quale si sentono squilli immaginari. Poi si è aggiunta la vibrazione, tanto che in inglese esistono già termini specifici di riferimento: “ringxiety” e “vibranxiety”.
Lo studio eseguito presso il Georgia Institute of Technology è stato pubblicato sulla rivista scientifica Computers in Human Behaviour.