Secondo l’analista Richard Windsor, Google avrebbe intenzione di trasformare Android in un sistema operativo proprietario abbandonando, in questo modo, l’AOSP. Malgrado si tratti di una congettura dell’esperto, dovuta alla conoscenza di un progetto interno e riservato, la notizia si inserisce in un quadro assai complesso che rischia di spezzare l’equilibrio raggiunto a Mountain View.
Qualche settimana fa, vi abbiamo raccontato di come Big G fosse uscito vittorioso dalla lunga ed estenuante battaglia legale contro Oracle. Google era stato accusato di essersi servito, illecitamente, di alcune API Java grazie alle quali avrebbe costruito gran parte del suo impero; pertanto, la controparte aveva richiesto un risarcimento record da 9,3 miliardi di dollari. Tuttavia, i giudici avevano respinto le accuse e Oracle aveva fatto intendere di voler procedere al ricorso.
Dunque, sembra proprio che la fatidica resa dei conti stia per arrivare. Il sito britannico “The Register” avrebbe dichiarato che l’analista Richard Windsor sia a conoscenza di un progetto top secret di Mountain View. Infatti, Big G sarebbe impegnato nello sviluppo di un nuovo ART, Android RunTime, che non prevede alcuna messa a disposizione del codice AOSP (acronimo di “Android Open Source Project“). In altre parole, i developers starebbero lavorando a un software sostanzialmente “chiuso“.
Secondo l’esperto, rendendo Android un OS proprietario, Google potrebbe ridurre i problemi legati alla frammentazione e, al contempo, rilasciare aggiornamenti in tempi più rapidi. Ma non solo: in questo modo, il colosso di Mountain View potrebbe mettersi al riparo da ulteriori azioni legali e porre fine a una serie di profitti, da parte di terzi, che vengono ricavati dall’impiego del codice “open source“.
Eppure, questo cambio di rotta potrebbe ottenere degli effetti irreversibili sull’intero ecosistema di Android. Difatti, in assenza di un ART, il robottino verde diventerebbe inutilizzabile e obbligherebbe chiunque a passare a Google per potervi accedere e accettare tutti i termini stabiliti da Google Mobile Services. Per farsi un’idea a riguardo, basti pensare alla disgraziata sorte che toccherebbe alla concorrenza come Amazon, che utilizza una versione modificata del sistema operativo; o ai numerosi produttori cinesi che non integrano i servizi di Big G all’interno delle rispettive ROM.
Ricordiamo che, almeno per il momento, la notizia vada presa con le pinze. Nei prossimi giorni, ci auguriamo una tempestiva replica e, soprattutto, una smentita da parte di Mountain View.