Un selfie nudi per avere prestiti dalle banche, in Cina succede anche questo e alla luce del Sole. Il Paese si appresta a diventare il più grande raccoglitore di dati personali al mondo, a cui potrebbero accedere anche le aziende dei paesi occidentali.
Se in occidente il dibattito sulla privacy è costantemente aperto e verte sul limite che aziende e governi devono avere nel reperire le informazioni, in oriente, più precisamente in Cina, le cose stanno esattamente all’opposto. Condividere i proprio dati personali comporta una riduzione sui tassi d’interesse di un prestito in banca.
Cina: studenti fanno selfie nudi per avere un prestito
Se il numero di carta di credito o quello del conto bancario non bastassero ad ottenere un prestito in banca la soluzione finale è quella dei selfie nudi. È ciò che accade in Cina agli studenti universitari che, alla disperata ricerca di denaro, hanno inviato le proprie foto adamitiche come garanzia a diverse piattaforme di prestito on-line, secondo People Daily.
Di solito ottengono prestiti di 15.000 yuan ($ 2.280) – di più se sono studenti di un dottorato o se iscritti ad una famosa università e almeno un prestito ha avuto un tasso di interesse settimanale del 30 per cento. Chi rilascia i mutui, almeno i più disonesti, minaccia di inviare i selfie alla famiglia se non pagano.
WElab Ltd., una società di prestiti on-line di Hong Kong, che fa prestiti in Cina, prende informazioni sulle app scaricate, sui percorsi fatti tramite il GPS, le loro reti sociali e i loro documenti scolastici. Offre tassi di interesse scontati per ogni informazione personale extra che possa aiutare a fornire un profilo dettagliato del richiedente. Per esempio, dare a WElab accesso a un account Facebook consente di ottenere uno sconto del 5 per cento sul costo del prestito, l’accesso a LinkedIn il 10 per cento di sconto sui prestiti con tassi di interesse che altrimenti arrivano fino al 20 per cento.
“I cinesi non hanno alcun problema a fornire i propri dati personali, dando il loro numero di carta di credito o il loro conto in banca“, secondo Jenny Lee, un manager di GGV Capital con sede a Shanghai. Lo scorso mese, al Big Data Expo a Guiyan (una provincia cinese sotto sviluppata che il governo vuole trasformare in un grande big-data hub), il primo ministro Li Keqiang ha affermato che: “Ad eccezione di quelli riguardanti la sicurezza nazionale, i segreti e la privacy commerciali, altre risorse e dati sono accessibili pubblicamente,” affermando che l’80 per cento dei dati della Cina è nelle mani del governo.
Più del 20 per cento del trattamento e immagazzinamento dei dati globali sarà detenuto in Cina all’interno del cosiddetto Great Firewall entro il 2020, secondo Lin Nianxi, vice presidente del National Development and Reform Commission.
La questione è anche di tipo culturale se pensiamo che sotto Mao il governo cinese aveva file segreti sui cittadini, chiamati dang’an, in cui erano presenti pagelle, cartelle cliniche, permessi di lavoro, valutazioni di personalità e altre informazioni che potrebbero essere considerate confidenziali e private in altri Paesi.
Se in Cina il governo afferma apertamente di avere accesso ai dati personali del popolo, mentre in occidente si fa di tutto per mantenere un certo livello di privacy vuol dire che effettivamente, il governo e le aziende, non sappiano molto (o tutto) di noi? Magari il profiling non è così sfrenato e sfacciato, non occorrono selfie nudi per ottenere un prestito, ma è ovvio che comunque si faccia.