Recentemente, a Londra è stato aperto FoodInk, il primo ristorante 3D. Si tratta di una struttura molto particolare, in cui tutto è realizzato grazie a una stampante 3D: cibo, bicchieri, piatti, posate e tavoli. L’obiettivo dei suoi fondatori è di portare la catena in altre città del mondo. Al momento, FoodInk si configura come un “locale itinerante“. Nel prossimo mese di ottobre, questo ristorante 3D dovrebbe raggiungere alcune città italiane, tra cui Roma e Torino.
Amalgamare tradizione e cucina molecolare si può. Lo ha dimostrato già Barilla, presentando al “Cibus 2016” una stampante 3D in grado di produrre quattro nuovi formati di pasta attualmente assenti sul mercato. Ora, invece, sembra essere arrivato il turno di FoodInk. L’azienda londinese ha proposto, a un numero piuttosto ristretto di commensali, un menù molto particolare basato su nove portate “cucinate” interamente da uno strumento davvero innovativo nel settore gastronomico.
Un importante contributo è stato offerto persino dall’Italia. Il merito va attribuito a una ditta di Massa Lombarda, che ha stampato piatti e bicchieri partendo dalla porcellana liquida.
La “cena Hi-Tech” è stata diretta dai master chef Joel Castanye e Mateu Blanche, che lavorano rispettivamente presso “La Boscana” di Barcellona e “elBulli” di Londra, e servita per tre serate consecutive al “Dray Walk” di Londra. Malgrado i fortunati degustatori, dieci in totale, non abbiano rivelato le pietanze gustate, sappiamo che il costo della serata si sia aggirato intorno ai 264 euro per partecipante. Insomma, un prezzo affatto conveniente che, però, ha permesso ai presenti di assaggiare cibi prodotti da una stampante 3D, realizzata dalla compagnia byFlow. Stiamo parlando della stessa società che, nel 2014, ha messo a punto la prima stampante portatile 3D multi-materiale, denominata Focus
.Lo chef Fabio Tacchella, esperto di nuove tecnologie di cottura e lavorazione degli alimenti e consigliere della Federazione Italiana Cuochi, ha dichiarato di trovare questa iniziativa molto interessante. “Avevo già sentito parlare di stampanti 3D per il settore food ed è incredibile che siano riusciti ad aprire un intero ristorante incentrato su questo nuovo format. Ovviamente, si tratta di una scelta più che giusta, perché la novità attrae sempre“.
Eppure, qualcuno potrebbe nutrire una serie di dubbi riguardo l’impatto offerto da questo tipo di tecnologia nella cultura gastronomica. “Le possibilità di sviluppo di questo format sono infinite. L’importante è che non ci siano tentativi di stravolgere tradizioni ben radicate, a partire da quella italiana. Non sarebbe corretto chiamare, per esempio, Amatriciana un piatto realizzato con prodotti differenti da quelli tradizionali, solo perché sono più adatti alle stampanti. Bisogna sempre stare molto attenti che queste innovazioni non si scontrino con le tradizioni. D’altra parte, però, noi cuochi potremo attingere da queste tecnologie, servendocene per esaltare i nostri prodotti e migliorare i nostri piatti, sia nell’estetica che nel gusto. Dopotutto è stato così anche per la nouvelle cuisine: prima poco considerata, poi conosciuta e osannata in tutto il mondo; ci ha insegnato tecniche che hanno contribuito a portare la cucina italiana al top. Potrebbe essere lo stesso anche con questo nuovo format“.
Tuttavia, lo chef italiano ha voluto sottolineare che “Bisognerà aspettare per capire quale sarà la risposta del pubblico, anche a lungo termine. Come la nouvelle cuisine e dopo di questa la cucina molecolare, anche questa tecnica “alle stampanti” invece che ai fornelli, potrebbe offrire spunti positivi e interessanti al settore della ristorazione“.