Mark Zuckerberg presenta Jarvis, la sua IA personale che ha costruito in circa 100 ore per il suo annuale progetto di sviluppo personale.
Essere il CEO di un’azienda grande quanto Facebook è una sfida difficile. Bisogna prendere decisioni senza esitazione ma consapevoli dei rischi che si prendono e del contesto in cui si svolgono. Sono richieste capacità notevoli che nessun corso per alti profili aziendali potrà mai insegnare.
Ecco perché Mark Zuckerberg ogni anno sfida se stesso con delle prove che mirano al suo sviluppo personale. Le competenze acquisite da queste sfide lo aiutano nel suo ruolo chiave di CEO, e lo tengono focalizzato su tematiche importanti.
La sfida personale dell’anno: Mark Zuckerberg presenta Jarvis
Quest’anno la sfida riguardava le intelligenze artificiali. Nello specifico, costruire una propria, personale, Intelligenza Artificiale (o assistente personale intelligente, NdR). Ovviamente non si pretendeva di raggiungere risultati paragonabili a team di centinaia di persone che lavorano unitariamente sullo stesso progetto, come ad esempio Google, Siri o il nuovo assistente che sarà presente all’interno dei Galaxy S8.
La parte interessante del report in cui Mark Zuckerberg presenta Jarvis sono le considerazioni sull’attuale stato delle tecnologie relative alle intelligenze artificiali e l’utilizzo di strumenti pre-esistenti per poter combinare un modello adattativo alle sue esigenze personali.
Nello specifico, Mark Zuckerberg è partito da un qualcosa che usiamo tutti, o quasi: un bot per Facebook Messenger. Ha quindi utilizzato l’infrastruttura dei bot di Messenger come impalcatura per l’interazione tra lui ed il cuore della sua Intelligenza Artificiale. Questo gli ha permesso di risparmiare notevole tempo in quanto il bot per Messenger gestisce automaticamente molti problemi che avrebbero richiesto davvero tanto tempo: funzionamento multipiattaforma Android/iOS, notifiche push, comunicazione server-client e via discorrendo.
Non solo, ma l’utilizzo avanzato di alcune API (Application Programming Interface, NdR) ha consentito di non dover stare lì a scrivere daccapo funzionalità già presenti. Ad esempio grazie ad un’API per il riconoscimento facciale presente già in Facebook Messenger ha potuto integrare questa funzionalità e gestire gli accessi alla sua casa. Il citofono di Zuckerberg è diventato così “intelligente“, ed attraverso Jarvis ora riconosce i profili di amici e familiari di Zuckerberg che vengono accolti in casa automaticamente. Jarvis provvede ad avvertire automaticamente Mark Zuckerberg dell’ingresso di ogni persona, mandando attraverso il bot di Messenger una foto della persona che si appresta ad entrare in casa, così da sapere sempre chi e quante persone sono presenti al momento nell’abitazione.
Un problema che limita tanto il campo di applicazione di una IA, secondo Zuckerberg, è il contesto. Mentre per noi esseri umani capire il contesto di una domanda risulta naturale, questo è un problema enorme per una IA. Chiedere a Jarvis “accendi le luci nel mio ufficio” presuppone che l’Intelligenza Artificiale conosca a priori quale sia il mio ufficio, e poi implica il problema di sviluppare una serie di stringhe di codice che gli consentano di comunicare con i sistemi di domotica presenti nel mio ufficio per accendere o spegnere le luci.
Secondo Mark Zuckerberg, uno dei limiti maggiori allo stato dell’arte circa le Intelligenze Artificiali è la capacità di insegnare effettivamente nuove funzionalità. Questo avviene sfruttando tecniche diverse ma che in sostanza si rifanno tutte allo stesso paradigma.
“Potrei lavorare su Jarvis 1000 ore al posto delle 100 che ho speso fin’ora, eppure non sarei in grado di avere risultati molto migliori di quanti raggiunti sino ad ora” è il messaggio che per Zuckerberg diventa fondamentale alla luce dei progressi fatti nel campo delle Intelligenze Artificiali.
Se potesse continuare il suo lavoro, Mark Zuckerberg dichiara che si concentrerebbe di più sul trovare strategie per far sì che Jarvis impari da sé nuove competenze e funzionalità, invece che esser lì ad insegnare a fare poche cose ma bene. E questa è la sfida per le Intelligenze Artificiali del futuro: trovare le giuste modalità per trasferire un’idea astratta, un concetto, da un contesto all’altro senza dover insegnare daccapo tutto agli agenti intelligenti.