Uber, nelle ultime giornate, è citato indirettamente dalle pagine dei nostri principali notiziari e quotidiani a causa delle proteste dei tassisti che si stanno mobilitando in tutta Italia. Negli USA invece, la società californiana è entrata in un vero e proprio occhio del ciclone per le accuse di molestie sessuali dirette ad alcuni suoi dipendenti, tra cui anche manager di primo livello.
A denunciare l’accaduto è stata una ragazza, Susan Fowler, ingegnere di grande esperienza, che avrebbe ricevuto vari sms a sfondo sessuale dal suo capo reparto. La Flower è entrata ad Uber nel novembre del 2015 ed ha resistito per tredici mesi prima di trasferirsi in una nuova compagnia, Stripe, nel dicembre 2016.
Durante la sua permanenza nell’azienda della Silicon Valley sarebbe stata più volte molestata virtualmente dal suo capo in cerca di rapporti sessuali: “Mi chiedeva di incontrarci, mi chiedeva del sesso e diceva che con la moglie aveva un rapporto aperto perciò tutto ciò gli era consentito”. Dopo essersi rivolta una prima volta ai vertici dell’azienda, la dipendente era stata rassicurata dai manager che parlavano di “caso isolato”. Solo successivamente ha scoperto che altre donne come lei avevano attraversato la stessa esperienza.
Il CEO di Uber, Travis Kalanick, già al centro di numerose polemiche per essersi dimesso dal gabinetto di Donald Trump (a causa di un episodio simile accaduto nell’azienda) si è subito attivato per far partire le indagini sul caso, twittando a chi gli chiedeva informazioni la parola “Orribile!”. Per Uber, come detto, non si tratta di un episodio inedito, già nel 2012 una dipendente aveva segnalato un trattamento simile da parte dei suoi superiori.
Una lunga serie di attiviste, impegnate per far valere i diritti ed il rispetto verso il genere femminile, ha sottolineato la questione ed ha posto l’obiettivo su un topic ancora più ampio: “Questi casi sono sempre maggiori perché nella Silicon Valley c’è ancora disparità tra uomo e donna: solo il 20% dei lavoratori è di sesso femminile”.