Già l’ 11 Maggio dell’anno scorso fu presentato un reclamo; la causa era la scarsa attenzione che la ditta poneva ai diritti sulla privacy degli utenti. Quando scarichiamo un’applicazione spesso ci viene presentato un vero e proprio contratto, al termine del quale dobbiamo obbligatoriamente accettare i termini e le condizioni tramite una spunta da mettere nel relativo riquadro, accanto ad esso troviamo appunto sempre la scritta “Accetta i termini e le condizioni”. E’ stato appurato che, per quanto riguarda il contratto che gli utenti di WhatsApp devono sottoscrivere, le condizioni riguardanti la privacy non sono chiare. Nello specifico accettiamo di sottoporre i nostri dati personali (nome, cognome, numero i telefono, contatti della rubrica telefonica ecc..) al trattamento effettuato da terzi per fini ed in circostanze non specificati.
Il richiamo che fu fatto a WhatsApp aveva come fine quello di ammonire la ditta, in modo che venissero presi provvedimenti rendendo il contratto più intuitivo e chiaro. Veniva inoltre prevista la pubblicazione sulla Home page di note informative più chiare rispetto a quelle sottoscritte dai consumatori, così da scongiurare azioni che compromettano la privacy di milioni e milioni di persone.
Tuttavia, dal 12 Maggio scorso ad oggi, WhatsApp non ha fatto nulla per migliorare questa situazione, ritenendo forse che la questione non fosse affatto urgente; questa noncuranza costerà (non possiamo certo dire caro) alla società. L’ AGCM ha infatti dato il via ad un procedimento che comporterà alla ditta in questione una sanzione pari a 50000 euro (che non sono affatto molti, considerando gli introiti di W. A.). In risposta, un portavoce della società di messaggistica istantanea afferma che stanno valutando la possibilità di fare ricorso alla decisione dell’Antitrust.
In passato è già capitato che la chat più famosa del mondo fosse multata, questa volta per una cifra di gran lunga superiore ai 50 mila euro. Infatti, a Maggio di quest’anno (periodo tra l’altro nel quale era stato presentato il reclamo di cui ho parlato sopra), l’ Antitrust ha deciso di sanzionare WhatsApp per un totale di ben 3 milioni di euro
per “violazione del codice di consumo” ; stavolta per irregolarità più gravi. Gli utenti della chat sono stati infatti indotti a credere che, se non avessero accettato di condividere i propri dati con Facebook, l’Applicazione avrebbe cessato il suo funzionamento; infatti, veniva visualizzata sullo schermo dello smartphone la richiesta di condivisione con Facebook, accompagnata dall’avviso di interruzione del servizio nel caso non fosse accettata la richiesta entro 30 giorni.In questa schermata di notifica non era correttamente messa in evidenza la reale possibilità di declinare la condivisione con il noto social. L’accusa mossa dall’ AGCM comprendeva anche un altro capo sulla “presunta vessatorietà di alcune clausole del contratto”, infatti la parte comprendente le responsabilità dell’app è stata considerata troppo generica, non è specificata chiaramente la possibilità di rescindere il contratto senza clausola, senza impegno e senza preavviso ed inoltre la maggior parte di questo è scritta solo in inglese, senza le dovute traduzioni in base al paese di distribuzione del prodotto, impossibilitando la comprensione di questo per chi non conosce o ha scarsa conoscenza di tale lingua (si parla comunque di termini specifici la quale traduzione richiede una buona comprensione ed una grande padronanza del lessico inglese).
Quando Zuckerberg acquistò la famosa app di messaggistica promise che questa ed il suo social sarebbero rimasti separati. Inizialmente rispettò la sua intenzione e si dedicò interamente alle migliorie della prima. Raggiunti gli obiettivi che si era stabilito è venuto meno alle sue idee ed ha cambiato le informative sulla privacy e facendo inviare agli utenti il fraudolento messaggio per la condivisione di dati, di modo che passassero da WhatsApp a Facebook tutte le informazioni sugli utenti utili alla pubblicità. Così a fine agosto è stato pubblicato attraverso un post l’annuncio in cui era scritto che, riguardo alla condivisione “obbligatoria” dei propri dati con il social, le intenzioni della società erano queste: sfruttare le preferenze di ciascuno (che vengono fuori dalle chat private) per aumentare un determinato tipo di pubblicità sulla propria bacheca Facebook: quella riguardante i nostri interessi. A metà Novembre la ditta sarà costretta a fare marcia indietro con tanto di lettera firmata dalla maggior parte degli stati europei.