Secondo alcuni “fantasiosi” utenti di Facebook, quando si pronuncia una parola durante la navigazione sul social network, in automatico, pochi minuti dopo, compare un pop up o un link sul proprio smartphone, contenente una pubblicità inerente alla parola emessa poco prima. Il microfono del telefono cellulare verrebbe attivato ad intervalli di tempo, intromettendosi nelle nostre conversazioni quotidiane e rubando informazioni riguardo i nostri gusti personali. In seguito, esse vengono inviate alle grandi aziende, le quali inviano pubblicità potenzialmente interessanti al proprietario del cellulare. Non poche persone si sono accorte di questa strana coincidenza: si parla di chewing gum alla fragola e, dopo pochi secondi, compare proprio una pubblicità di invitanti gomme da masticare rosa sui nostri schermi.
Si sa che il principale mezzo di sostentamento di Facebook sia la pubblicità: le informazioni che gli stessi utenti pubblicano sui propri profili sono oro colato per il social network, che vende alle grandi aziende spazi pubblicitari personalizzati per ogni iscritto. Insomma, sappiamo tutti che in qualche modo veniamo “spiati” dalle tecnologie che utilizziamo, ma rimaniamo comunque interdetti quando compiono un ulteriore passo per entrare poco più in profondità nelle nostre vite. Tutti barriamo la casella “accetto” quando compare la schermata riguardante i Cookie, ormai presente su qualsiasi sito. Per chi non lo sappia, dichiarare di accettare che un sito internet utilizzi le informazioni sulla navigazione dell’utente per migliorare le prestazioni online e adattarle alle sue preferenze, è come accettare che internet si addentri un po’ nella nostra privacy. Perché, allora, pur accettando molte piccole (e apparentemente insignificanti) violazioni della nostra privacy, ne condanniamo altre? C’è differenza tra la raccolta delle nostre azioni online e l’intromissione della tecnologia nelle nostre conversazioni?
Facebook non vi spia
Le segnalazioni degli episodi di comparsa di pubblicità mirate a seguito di conversazioni riguardanti l’oggetto dell’advertising si sono moltiplicate su Twitter, scatenando un’ondata di dubbio e indignazione. Prima la teoria sulle webcam che ci spiano e adesso anche Facebook non riesce a farsi gli affari suoi? Bisogna procurarsi del nastro adesivo da fissare sia sulle telecamere che sui microfoni? Sembra di vivere in un film di fantascienza in cui la tecnologia prende il sopravvento e ci sfrutta a fini economici. Complotto o dato di fatto? È vero che i nostri device, attraverso webcam e microfoni, raccolgono informazioni sul nostro agire quotidiano per permettere a grandi aziende di scoprire i nostri gusti personali e quindi di inviarci pubblicità mirate? La nostra privacy viene davvero violata tutti i giorni dai mezzi che usiamo più spesso per facilitarci la vita?
Facebook nega: a dichiarare l’innocenza della piattaforma sociale più usata nel mondo è il vicepresidente del reparto advertising dello stesso Facebook, Rob Goldman. Attraverso un tweet del 26 ottobre, il vicepresidente ha sottolineato nuovamente (la teoria complottista sul voyeurismo di Facebook, infatti, non è una novità) che lo staff della creatura di Zuckerberg non ha mai sfruttato i microfoni dei telefoni cellulari per inviare pubblicità su misura ai proprietari dei device tecnologici. Anzi, sarebbe tutta una diceria, una teoria complottista del tutto infondata.
Nel dubbio, esiste, nelle opzioni, un tasto per disabilitare il microfono del proprio smartphone.