Se pensate che la crittografia end-to-end e tutti gli altri sistemi per la privacy utilizzati da WhatsApp vi rendano al sicuro dalla Legge, vi sbagliate di grosso. In Italia, finalmente sono stati chiariti tutti i dubbi a riguardo di un vuoto normativo che stava lasciando perplessi.
La Corte di Cassazione, il più alto organo giuridico presente nel nostro paese, ha infatti stabilito tramite una sentenza che i messaggi scambiati tramite WhatsApp (ma anche tramite altre piattaforme o SMS) possono essere acquisiti dai magistrati e possono essere utilizzati come prove in un eventuale processo.
In pratica, ogni qual volta ci sarà conversazione pubblica a disposizione dei magistrati ed ogni qual volta si avranno intercettazioni (regolamentate dalle opportune leggi), il contenuto degli smartphone (sms, chat e messaggi WhatsApp) potrà essere considerato una prova a carico di un imputato.
Ciò vale sia per i processi civili, sia per i processi penali (dove si rischia anche la galera).
Per la prima volta, quindi, è stato stabilito che i messaggi contenuti in uno smartphone possono ritorcersi contro.
La sentenza va quindi ad avvalorare la tesi secondo cui, nonostante la riservatezza offerta da WhatsApp, è sempre opportuno mantenere sul web un certo tipo di educazione. La voce della Cassazione, inoltre, va ad aiutare finalmente tutti coloro che proprio attraverso il web, le chat o WhatsApp vengono quotidianamente presi di mira con insulti, minacce e violenze verbali.