È solo di qualche settimana fa lo scandalo che ha coinvolto Facebook e Cambridge Analytica. Con il passare dei giorni, si sta passando al setaccio ogni informazione per capire fino a quanto si è spinta questa fuga di big data e quante persone sono state impattate. La notizia è rimbalzata da un paese all’altro, essendo ormai Facebook tra i più influenti social network che conta oltre 2 miliardi di utenti da tutto il mondo di cui oltre 30milioni solo in Italia.
L’Antitrust italiana vuole vederci chiaro: sono ben 214.134 i profili italiani finiti nella morsa della fuga di dati; si indaga sulle autorizzazioni sulla privacy accettate nel momento della creazione del profilo, cercando di capire quali informazioni possano essere finite in mano a terzi e soprattutto, chi sono i soggetti terzi interessati dalla vicenda. Ci si chiede, a questo punto, se la fuga dei dati veniva implicitamente autorizzata nelle lunghe pagine di autorizzazione al consenso dei dati che, spesso, vengono accettate dall’utente finale senza essere neanche lette.
Come veniva affermato qualche giorno fa ai microfoni di SkyTG24 da parte di Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Authority, l’Antitrust italiano, evidenziando la natura scorretta del comportamento commerciale da parte del colosso del web, vuole indagare su messaggi che compaiono all’utente al momento della prima iscrizione al social network, che evidenziano che esso è e sarà sempre gratuito, non mettendo al corrente che tale gratuità è molto probabilmente figlia della fuga di big data che costituisce grossi introiti per la società stessa.
Come viene evidenziato dallo stesso Presidente, questa vicenda non da l’autorizzazione alla gogna mediatica in quanto la fuga di big data ha dei risvolti applicativi positivi che potrebbero anche migliorare l’esperienza dell’utente, ma questa pratica va assolutamente migliorata in quanto la persona deve essere messa al corrente di cosa viene trasmesso a terze parti e soprattutto, le modalità e i perché di tale pratica.
Il primo a rendere nota tale notizia è stato il Garante della Privacy che, svolgendo a pieno i suoi doveri di tutela del cittadino consumatore, ha evidenziato la pratica assolutamente scorretta. Lo stesso Garante, ascolterà le ragioni del global deputy chief privacy officer di Facebook, Steven Deadman, giorno 24 aprile.
Individuato il misfatto, si vogliono capire le modalità di perdita dei big data. In particolare, le indagini dell’antitrust sono mirate a scoprire:
Quello che Mark Zuckenberg ha affermato, a sua discolpa, è che Kogan si impossessava dei dati degli utenti e poi li rivendeva a Cambridge Analityca, senza che Facebook lo sapesse! È la verità? Staremo a vedere… Quello che ne ha risentito maggiormente però è lo stesso fondatore di Facebook, che ha visto crollare il giorno dopo i titoli in Borsa e che ha chiesto pubblicamente scusa ai miliardi di utenti mondiali che hanno riposto fiducia in lui sin dalla lontana fondazione nel 2004.
Ma cos’è Cambridge Analytica?
Il nome altisonante che riecheggia nelle nostre orecchie da settimane si riferisce a una grande società creata nel 2013 da Steve Barron e Robert Mercer, che si occupa di analisi di dati. Diverse, sono le vicende penali che coinvolgono la società che vanta sedi a Londra, New York City, Washington D.C., San Paolo e Kota Damansara, Petaling Java, ma che con un click è capace di raggiungere ogni parte del mondo, anche la più remota. La CS è stata coinvolta nel 2014 in 44 campagne elettorali, lavorando inizialmente nella campagna presidenziale di Ted Cruz e avendo un ruolo fondamentale anche nella campagna elettorale di Trump e nella Brexit, per la quale si accusa la società di aver influenzato gli elettori del tempo nel periodo preelettorale.
Adesso è compito dell’Antitrust italiana, indagare e approfondire la vicenda per informare il consumatore finale che deve essere tranquillo e vivere l’esperienza “social” che il World Wide Web mette a disposizione come momento di relax e svago e non infimo nemico silenzioso.