Ultimamente si sente molto parlare del c.d “Protocollo IPTV”. IPTV (acronimo di “Internet Protocol Television”) si intende quel sistema che permette di visualizzare tramite il Web canali che, normalmente, potrebbero essere visualizzati sia mediante la classica antenna collegata al televisore ovvero mediante decoder (es. Sky). Più precisamente, se voglio guardare un normalissimo canale televisivo, allora ho due opzioni: collegare l’antenna al televisore oppure usufruire del decoder, come SKY, eventualmente in possesso.
In altri termini, con IPTV, se il mio televisore ha l’entrata dell’antenna difettosa e non ho un decoder che mi permette di guardare quel determinato canale televisivo, allora potrei semplicemente collegarmi ad internet e visualizzare il mio canale preferito. Si può affermare che il suddetto modello possa essere in qualche modo paragonato allo “Streaming”.
Tutto questo non porta a conseguenze legali in termini di “utilizzo”. Questo perché, prendendo ad esempio i canali televisivi italiani (i vari Canale 5, Italia 1, Rai, La7 ecc.), essendo questi canali pubblici, allora non possono impedire a terzi l’utilizzo e visualizzazione.
La situazione cambia quando IPTV fornisce dati video appartenenti a società private che, al fine di fornire un servizio al cliente, richiedono a quest’ultimo la sottoscrizione ad un determinato abbonamento.
In altri termini IPTV ha acconsentito la visualizzazione gratuita ai soggetti di determinati canali per i quali, ai fini della loro visualizzazione, è necessario sottoscrivere un abbonamento. Un esempio può essere lo stesso Sky, perché fornisce (oltre ai classici canali) anche particolari canali (es. sport e cinema) per i quali l’utente è obbligato ad abbonarsi.
Questa pratica è, secondo la legge, espressamente vietata sia in termini di “Concorrenza Sleale” (in quanto si “vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda” – Art.2598/3 cc), sia in termini di “Diritto Antitrust”, perché il fatto di offrire servizi gratuiti di società private che offrono, per il medesimo servizio, un abbonamento, comporterebbe un indebolimento economico delle medesime società e quindi una disparità in termini di “gioco leale” all’interno del mercato. In ultimo, dal punto di vista sanzionatorio, le suddette pratiche comporterebbero sanzioni elevate non solo per chi offre il servizio ma anche al consumatore finale del servizio (il quale risponderà in solido).