Sembra ieri che, per la prima volta, si aveva una connessione mobile alla rete internet per potersi scambiare informazioni, dati, messaggi e per effettuare ricerche dal telefonino. La connessione internet, che prima era funzionale e strettamente collegata al mondo del lavoro, ormai è diventata decisamente una componente fondamentale della nostra quotidianità, senza la quale ci sentiremmo persi, smarriti e fuori dal mondo. Anche se forse l’eccessivo spazio acquisito dall’essere “connessi” non è del tutto positivo per vari aspetti della sfera psicofisica umana, è innegabile che la tecnologia stia facendo passi da gigante sotto il nostro naso, e dal 4G, vecchio di qualche anno, alle sperimentazioni per il 5G, il passo è molto breve.
Una precisazione, però, è d’obbligo. Il 4G ha rappresentato sicuramente un salto di qualità nel panorama della connessione ad internet: una maggiore copertura e un sostanziale incremento della velocità rispetto al suo progenitore 3G lo hanno reso in poco tempo la tecnologia di riferimento per tutti i sistemi operativi all’avanguardia. Ma il 5G è qualcosa di più.
La rivoluzione 5G non abbraccerà solamente i dispositivi come smartphone, tablet e gli altri devices che attualmente supportano il 4G. Arriverà a toccare anche quelli che finora sono stati meri oggetti “passivi”, per così dire, rispetto ad una connessione internet, dagli elettrodomestici come forni e frigoriferi fino ad arrivare persino agli abiti. Si stima che dai 6,4 miliardi di dispositivi connessi al giorno d’oggi, nel 2020 questo numero si triplicherà, raggiungendo gli oltre 20 miliardi. Una rivoluzione di dimensioni mastodontiche.
Ma come ogni rivoluzione tecnologica, la storia ce lo insegna, anche questa sembra non essere scevra di lati negativi, che riguardano perlopiù la salute degli individui che utilizzeranno questa tecnologia e di quelli che vivranno a poca distanza dai nuovi e più numerosi ripetitori installati.
Risale al 5 maggio la notizia che l’AGCOM ha approvato la delibera che norma le procedure per l’assegnazione e le regole di utilizzo delle frequenze per il 5G, di fatto spianando la strada verso la successiva sperimentazione. Questo significa che l’appello dei 180 scienziati contro l’inizio della sperimentazione è rimasto senza alcuna risposta.
Fiorella Belpoggi, ricercatrice dell’Istituto Ramazzini, nonché capo e referente del più grande studio mai realizzato sugli effetti dannosi delle radiazioni provenienti da antenne di telefonia mobile (3G), scrive su Facebook: “Era da aspettarselo, ora chi di dovere si prenderà la responsabilità di ignorare un pericolo”. Ma di quale pericolo si parla, precisamente?
Il report degli studi effettuati (pubblicato sul sito ScienceDirect il 6 settembre scorso) traccia un possibile quanto terrificante “aumento del rischio di tumori del cervello, del nervo vestibolare e della ghiandola salivare associati all’uso del telefono cellulare”, di cui una serie effettuati dal 2011 al 2017 e altri nel biennio 2013-2014, mentre cresce la preoccupazione anche per le eventualità di tumori alla mammella, alla tiroide, ai testicoli e numerose forme di leucemia.
Questo è dovuto all’aumento della frequenza delle onde elettromagnetiche utilizzate nella rete 5G, che raggiunge le decine di GHz. Inoltre, queste onde magnetiche hanno una minore capacità di attraversare aria, edifici e vegetazione, e pertanto sarà necessaria l’installazione di nuove microantenne che agiscano da ripetitori. Questo significa che ogni famiglia potrebbe vivere a pochi metri da un ripetitore, e ciò desta preoccupazione per gli effetti nocivi descritti negli studi.
Infine la cosa preoccupante è la pressione che i magnati del 5G stanno applicando affinché la sperimentazione inizi e prosegua senza intoppi. Senza scadere nel complottismo, è di dominio pubblico sapere che le norme di sicurezza ambientale non sono attualmente adeguate a reggere il peso di una tecnologia che avanza in maniera spedita e spesso senza curarsi, effettivamente, delle implicazioni che essa porterebbe.