Questa direttiva arriva mesi dopo l’entrata in vigore del GDPR (General Data Protection Regulation), riguardante appunto la protezione dei dati degli utenti, necessario dopo lo scandalo di Cambridge Analytica.
Che la regolamentazione riguardante la tutela dei diritti sul web necessitasse, senza ombra di dubbio, di una modifica era sotto gli occhi di chiunque avesse un minimo di comprensione del mondo digitale. In una rivoluzione industriale ed un campo, quello tecnologico, in continuo sviluppo era ovvio che una normativa risalente al 2001, fosse quantomeno anacronistica e non potesse più adattarsi alle modalità di utilizzo dei contenuti sulla totalità dei siti. Perciò, in maniera fisiologica e forse con un ritardo eccessivo si è sviluppata una richiesta sempre crescente in tal senso.
Purtroppo, però, la legge per come è scritta lascia l’amaro in bocca a più persone di quante si possa pensare e, sebbene chi non ha comprensione dell’argomento non si renda conto di ciò che sta accadendo, nessun internauta è escluso dalle ripercussioni sulla quotidianità di questa legge.
Le principali critiche che il testo della legge riceve riguardano gli articoli 11 e 13, anche se l’articolo 3 non è esente da critiche. Inoltre, la poca chiarezza in alcuni frangenti lascia spazio all’interpretabilità, il che non è sicuramente un bene, in quanto non permette un’applicazione standardizzata di eventuali sanzioni a comportamenti d’uso comune che diventerebbero scorretti o, ancora peggio, illegali nel caso di una lettura fiscale della stesura finale. Tutto ciò nonostante una sostanziale modifica nei mesi precedenti e azioni di protesta importanti da enti con una grande visibilità, come Wikipedia
, che ha chiesto ai suoi utenti e lettori di informarsi e mettersi in prima linea sull’argomento, rendendo il sito inaccessibile all’utilizzatore medio.
Cerchiamo di accennare, in maniera semplificata e comprensibile, il contenuto dei due pezzi più bersagliati della normativa.
Art. 11: Questo articolo riguarda l’utilizzo, da parte dei colossi dell’informazione (Facebook, Google etc.) o di aggregatori e newsfeed dei contenuti di proprietà di testate giornalistiche o enti privati che non si vedono riconoscere alcun tipo di compenso (In questo sono regolamentati anche hyperlink e snippet).
Art. 13: Qui, la direttiva europea impone che le piattaforme controllino che non ci sia una condivisione di contenuti protetti dal diritto d’autore a meno che non ci sia un accordo tra le parti.
Uno degli argomenti più discussi è quello delle fake news, che non hanno alcuna convenienza a creare sbarramenti alla condivisione e, perciò, si ipotizza possano vivere un incremento importante.
Il finger printing, invece, è una firma digitale correlata al contenuto video che consenta di riconoscerlo tra copie dello stesso ricaricate da entità differenti.
Espressi i punti cruciali della vicenda, appare chiaro che internet, per come lo conosciamo, vedrà un periodo di mutazione importante che interesserà ogni utente che si interfacci con la rete rendendosi parte attiva nella diffusione di informazioni e contenuti.
La domanda principale che bisogna porsi riguarda il potenziale stridere di questa direttiva con uno dei diritti fondamentali dell’uomo, la libertà d’espressione, sulla quale esistono leggi nella Costituzione Italiana (Art. 19), come nella stragrande maggioranza degli altri paesi appartenenti all’Unione Europea.