Su Play Store ed iTunes abbiamo una applicazione per ogni occasione. Dalle utility ai giochi e fino alle proposte per la personalizzazione abbiamo davvero l’imbarazzo della scelta. Ma se improvvisamente sparissimo per “andare in un posto migliore“? C’è chi ci ha pensato ed ha iniziato a proporre un’applicazione per la vita dopo la morte.
Una soluzione che non garantirà la vita eterna ma che condenserà tutto il nostro “io digitale” sotto forma di bit. Una sorta di personalità digitale perpetua realizzata sotto forma di fantasma digitale del nostro essere. L’idea incuriosisce tutta la comunità. Scopriamo come dovrebbe funzionare.
Applicazione per la vita dopo la morte
Hossein Rahnama, che in questo caso possiamo classificare come visionario (trovate voi stessi un’etichetta adeguata), propone la ricetta base della nuova applicazione post mortem. Imprenditore e ricercatore presso l’autorevole Ryerson University di Toronto, potrebbe essere ricordato per sempre per la sconvolgente nuova idea che sta alla base di 5 punti essenziali:
- convergere in rete una smisurata quantità di dati personali
- Continuare a sviluppare tecnologie cloud e per l’elaborazione dei dati con ritmi inarrestabili
- Raccogliere tutti i dati riconducibili ad una persona e metterli in un’app
- Aggiungere una dose di intelligenza artificiale avanzata che gestisce i dati e si relaziona con il mondo esterno
- Presentare il nostro alter ego virtuale in una delle innumerevoli forme che può assumere un’entità digitale (un chatbot testuale, un assistente vocale, un personaggio 3D o anche un robot umanoide).
Qualcosa che ci ricorda tanto un film in cui un ologramma 3D gestiva una complessa biblioteca digitale. Ricordate il titolo? Ebbene, non sarà così semplice e banale come descritto ed interpretato negli sceneggiati cinematografici. Creare un alter ego digitale è un compito estremamente complesso, specie nella gestione delle relazioni interpersonali con altre entità. Un limite su cui nemmeno l’IA può mettere mano.
“Stiamo generando gigabyte di dati su base giornaliera. Ora disponiamo di molti dati, di molta potenza di calcolo, di molte capacità di archiviazione […] Con un numero sufficiente di dati su come si comunica e si interagisce con gli altri, gli algoritmi di apprendimento automatico possono approssimare una personalità unica o almeno una parte di essa”
Alter ego digitale: lo vedremo davvero?
Il progetto manca di una componente fondamentale, ossia il coinvolgimento degli utenti. Così come la realtà dei fatti, non è possibile avere una personalità completa senza avere a disposizione tutti i dati. Sentimenti, predisposizioni a specifici comportamenti, istruzione e competenze sono necessarie per formare il nostro io reale. Allo stesso modo una componente digitalizzata di noi stessi non può dirsi affidabile se incompleta dei dati necessari. Non tutti sono disposti a divulgare pubblicamente i propri tratti psico-somatici.
La possibilità di ottenere una personalità digitale pare preclusa alla fascia meno giovane della popolazione. A contare su questo genere di approccio potrebbero essere i millennial, abituati a condividere online qualsiasi genere di informazione.
L’obiettivo, in ogni caso, resta fin troppo ambizioso sebbene le varie multinazionali non si facciano ancora alcuno scrupolo a tutelare la nostra privacy. Noi stessi, d’altro canto, siamo gli artefici di un fenomeno che mina la riservatezza ed espone in chiaro tutti i nostri dati e le nostre abitudini di vita.
E voi sareste disposti ad appoggiare la causa mettendo a nudo tutto il vostro essere pur di rivivere in forma digitale a tempo indeterminato? Ai posteri l’ardua sentenza. Approfondite consultando la pagina ufficiale.