Come successo negli USA e in altri paesi, i colossi delle telecomunicazioni Huawei e ZTE sono stati banditi dalle aste pubbliche anche in Giappone. Il governo nipponico considera le due aziende un “pericolo per la cybersecurity in ambito militare e finanziario”.
Il tutto è avvenuto nella cornice di quanto avvenuto in Canada, dove la figlia del fondatore e direttrice finanziaria Meng Wanzhou, è stata arrestata. La numero 2 di Huawei rischia l’estradizione proprio negli USA con le accuse di aver violato i regolamento sulle sanzioni all’Iran.
Sospettando un attacco di natura politica più che giuridica, il governo di Pechino ne ha chiesto il rilascio immediato. Intanto Huawei si è detta convinta e fiduciosa “che le autorità canadesi e statunitensi raggiungeranno senza dubbio una conclusione corretta e imparziale. L’azienda rispetta tutte le leggi e le regole dei Paesi in cui opera, incluse quelle in materia di controllo delle esportazioni delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e dell’Ue”. Il governo canadese ha respinto ogni accusa di attacco politico alla Cina.
Huawei e ZTE: un ban che era nell’aria
Nel comunicato governativo di Tokyo, l’esecutivo ha avuto il tatto di non menzionare direttamente le due società, forse per non incrinare i rapporti commerciali con la Cina. Tuttavia, la decisione giapponese era stata anticipata qualche giorno fa dalla stampa interna e s’innesta nel calderone del “National Defense Authorization Act” degli USA che vieta l’uso di prodotti dei due colossi cinesi negli apparati statali.
Lo stesso Donald Trump si era speso a livello internazionale per invitare altre nazioni a respingere le due aziende al confine. Dopo Australia, Nuova Zelanda e British Telecom nel Regno Unito, capitola dunque anche il Giappone alle pressioni degli USA.