La tensione si può tagliare col coltello da quando gli Stati Uniti si sono imposti nel voler escludere Huawei dalle sperimentazioni per la quinta generazione di connessione veloce.
Le direttive d’oltreoceano sembrano seguire la linea di un netto rifiuto, affinché alla società cinese, considerata troppo vicina al governo della propria nazione d’origine, venga interdetto l’accesso ai protocolli per concludere la configurazione del 5G sui propri dispositivi.
Non fosse che questa linea, che l’America si aspetta essere appoggiata anche dai propri partner commerciali europei (tra cui l’Italia), implica più una direzione politica che una strategia di mercato. Come se si chiedesse ad ogni nazione un aut aut: o l’America o la Cina.
Infatti, se da una parte i timori e le conseguenti pressioni giunte da occidente potrebbero essere giustificati per una serie di precedenti non di poco conto – tra cui una maggior vulnerabilità dei sistemi di sicurezza nazionali e la fermezza di Huawei nel non voler cedere le chiavi di decrittazione a Washington – dall’altra escludere un competitor così importante, sia nel settore hardware sia software, implicherebbe un rallentamento notevole dei tempi, già abbastanza dilatati, per la messa in commercio dei dispositivi compatibili.
Basti pensare che solo in Italia, pur avendo rifocillato le casse dell’Erario statale, l’asta per le frequenze 5G ai 5 operatori vincitori della gara ha privato loro di ben 6,5 miliardi. Un investimento enorme specialmente per i primi 3 aggiudicatari, Tim, Vodafone e Iliad, di cui i primi due hanno sborsato ciascuno 2,4 miliardi e il terzo 1,2 miliardi per l’implementazione delle infrastrutture presenti e la creazione ex novo dei supporti necessari a sostenere la rete 5G.
Si può ben capire dunque la preoccupazione delle telco, che dinanzi alla prospettiva di rallentamenti, di ritocchi alla rete 4G e di ulteriori investimenti nella realizzazione delle reti, potrebbero ritrovarsi ad affrontare spese potenzialmente insostenibili.
Infine, bisogna anche considerare che per molti operatori il 5G rappresenta l’occasione migliore per poter “rifiatare”, dopo un periodo in cui la pressione esercitata da Iliad ha costretto a rivedere radicalmente i costi dei bundle proposti al grande pubblico. Tant’è vero che l’indice ARPU nell’ultimo anno si è gravemente abbassato, e innalzare un po’ i prezzi per l’arrivo della nuova connessione potrebbe rivelarsi la strategia vincente per far tornare i bilanci in rialzo.