Approvata oggi, durante la seduta plenaria dal Parlamento Europeo riunito a Strasburgo, la nuova direttiva sui diritti d’autore. Si configura una giornata storica, dopo mesi di battaglie, manifestazioni, discussioni e innumerevoli espressioni di protesta, per andare a correggere i punti critici che, secondo gli utenti e le parti interessate dal provvedimento, non davano adeguata risoluzione ad una serie di problematiche.
Con 348 voti a favore, 274 contrari e 36 astenuti, è passata la normativa sul copyright al suo ultimo possibile rinvio parlamentare: con le elezioni europee di maggio, infatti, sarebbero decadute tutte le pratiche non portate a termine, e pertanto non ci sarebbe stato il tempo materiale di revisionare nuovamente il testo prima di portarlo in aula.
La discussione intorno a questo testo è stata molto intensa negli ultimi mesi, specie a proposito di due articoli della precedente versione, l’articolo 11 e l’articolo 13, che ora sono diventati rispettivamente art. 15 e art. 17.
La normativa in sintesi
Le nuove disposizioni consentiranno una maggiore tutela del diritto d’autore, consentendo ad autori, artisti, scrittori, giornalisti, interpreti, editori, produttori, ossia ai creatori di contenuti, di veder riconosciuto un maggior compenso a fronte del proprio impegno, dal momento che giganti del web, come ad esempio Google o Youtube, lucrano sul lavoro svolto da terzi inserendoci inserzioni pubblicitarie e guadagnando grazie alle visualizzazioni che i banner ricevono.
In questi termini si sarebbe anche espressa la commissaria Ue al digitale Mariya Gabriel, imperterrita sostenitrice della riforma appena approvata, che definisce il testo della direttiva come “equilibrato e ambizioso”, quasi ad abbracciare gli interessi dei piccoli produttori di contenuti a fronte dei big del web che sfruttano il loro lavoro per poter trarre beneficio economico.
In breve, al momento sarà solo necessaria l’approvazione da parte del Consiglio europeo, che dovrebbe trattarsi più di una formalità: dalla data di definitiva approvazione, dovranno trascorrere due anni per l’effettiva applicazione della normativa. Dopo 3 anni di “guerra furibonda di lobbying fra le due fazioni” – come riporta Il Sole 24 Ore – si è riusciti a raggiungere quell’equilibrio che ha consentito l’assenso del Parlamento Europeo, verso una norma di cui si sentiva forte necessità e che non veniva rimaneggiata dal lontano 2001.
Dall’inizio del terzo millennio, infatti, molte dinamiche sono mutate nell’ambito dei mercati digitali, pertanto era impellente la necessità di adeguare la normativa ai cambiamenti verificatisi (basti pensare che nella precedente si faceva appena accenno a eBay, come sito di e-commerce, mentre ad oggi i canali di diffusione e di compravendita di prodotti ormai hanno invaso anche le piattaforme social, come nel caso di Facebook Marketplace).
Il testo così redatto andrà a costituire uno dei pilastri fondamentali per il cosiddetto digital single market, il mercato unico digitale, che sempre secondo la definizione della nota testata giornalistica, andrà a costituire uno “spazio economico comune che riproduca l’assenza di barriere raggiunto in quello fisico”.
Il nocciolo della direttiva
Di base, la normativa prevede una sorta di presa di coscienza, da parte dei giganti del web che sfruttano il lavoro di terzi, nel riconoscimento dei loro meriti e relativi introiti. Questo sarà possibile attraverso la stipula di licenze ad hoc e l’eliminazione di contenuti protetti da copyright pubblicati senza il consenso degli individui che ne detenevano la proprietà intellettuale.
Infatti, secondo il modello precedente, i grandi “aggregatori digitali” – come appunto Google o Youtube – non costituivano parte attiva nel processo di pubblicazione, e non dovevano rispondere di alcuna violazione: si configuravano come una vetrina per raggiungere i contenuti, e non avevano alcuna responsabilità nell’esposizione di tali creazioni.
Dal momento in cui entrerà in vigore la direttiva, invece, le piattaforme che guadagnano dall’esposizione dei prodotti sono direttamente responsabili dei rapporti che intercorrono con i proprietari intellettuali dei contenuti, e pertanto saranno costretti a riconoscerne il valore, anche tramite un adeguato compenso.
I punti soggetti a critiche e le relative modifiche
I punti critici della normativa, ossia l’ex art.11 e l’ex art. 13, riguardavano rispettivamente la “Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale” – ora corretto in “utilizzo online”, per escludere il caso di documentazioni contenute nei database – e l’“Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online”, formula in burocratese per intendere piattaforme online.
Nel primo caso, ex art. 11 ora divenuto art.15, la discussione riguardava la cosiddetta “link tax” (tassa sui link) e l’“upload filter” (setaccio per il caricamento dei contenuti), di cui però non c’è traccia nel testo approvato in data odierna. Invece, il testo approvato riporta che gli Stati membri debbano personalmente garantire che «gli autori delle opere incluse in una pubblicazione di carattere giornalistico ricevano una quota adeguata dei proventi percepiti dagli editori per l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione». Quindi gli autori devono essere correttamente compensati dagli editori per le proprie produzioni, e a loro volta gli editori devono essere correttamente ricompensati dagli “aggregatori digitali”.
L’ex art. 13 invece, ora art. 17, stabilisce che le piattaforme online debbano ricevere, sempre per tramite di apposite licenze, l’autorizzazione alla pubblicazione di qualsiasi contenuto da parte dei titolari dei diritti. Questo implica che qualsiasi responsabilità per il caricamento di materiale non correttamente “coperto” da queste licenze è a carico degli aggregatori digitali, che non saranno più quindi esclusiva vetrina, bensì saranno considerati alla stregua di utilizzatori di quelle risorse per generare proventi, e quindi parte attiva del processo di monetizzazione.
Le eccezioni e le attuali critiche di chi ha votato “no”
Un’eccezione alle sanzioni che potrebbero derivare dalla violazione di queste direttive potrebbe essere costituita dall’aver cercato in tutti i modi di ottenere l’autorizzazione, ma senza possibilità di contattare il diretto interessato, oppure l’aver “agito tempestivamente” nella rimozione di un contenuto non a norma.
I sostenitori del “No” questa riforma, d’altro canto, trovano che alcuni punti della normativa possano risultare ambigui e di difficile applicazione, poiché potrebbero abbracciare un ampio numero di casistiche non tutte, effettivamente, meritevoli di essere così giustificate.
Libertà preservate ed esenzioni alla normativa
Esclusi da questo tipo di provvedimenti saranno i cosiddetti snippet, ossia quei brevi estratti di testo che compaiono su Google News quando si digita una determinata stringa di ricerca – e che sono indicativi del contenuto del testo. Vengono preservate, inoltre, la libertà di citazione, di caricatura, di parodia (ad esempio i meme) come anche non sono previste limitazioni verso le enciclopedie online no-profit, come Wikipedia (che nelle scorse ore è andata incontro ad un nuovo oscuramento), in quanto espressione di creazioni finalizzate alla crescita culturale, esattamente come i contenuti per l’insegnamento e la ricerca scientifica.