Pochi eventi nella storia dell’astronomia sono stati importanti come quello avvenuto il 10 Aprile 2019, quando, grazie ad una complessa elaborazione delle immagini provenienti da diverse coppie di telescopi sincronizzati tramite GPS, si è riusciti per la prima volta a vedere e fotografare un buco nero.
Precisamente si tratta del buco nero al centro della galassia M87, distante da noi ben 55 milioni di anni luce.
L’anno luce è un’unità di spazio, non di tempo, e corrisponde alla distanza percorsa dalla luce nel giro di un anno.
Considerando che la luce percorre circa 300.000 chilometri al secondo, bisogna pensare che un singolo anno luce corrisponde a 9461 miliardi di chilometri.
Ora immaginate di moltiplicare questo numero per 55 milioni. Incredibile, vero?
Nonostante questi numeri da capogiro, gli astrofisici sono riusciti a raggiungere questa distanza e a fotografare ciò che vi è presente.
Il buco nero in questione ha un diametro di 38 mila miliardi di chilometri, e contiene una massa pari a 6,5 miliardi di masse solari.
“Quella che abbiamo visto è l’ombra di un buco nero“, ha detto all’ANSA Luciano Rezzolla, direttore dell’Istituto di Fisica Teorica di Francoforte e membro del comitato scientifico della collaborazione Eht (Event Horizon Telescope).
“Nei buchi neri super-massicci che si trovano al centro delle galassie, la materia che viene attratta si riscalda e, cadendo nel buco nero, emette luce, parte della quale è osservabile con i radiotelescopi. In queste condizioni fisiche, infatti, è possibile rivelare la cosiddetta zona ‘in ombra’, ossia quella regione di ‘assenza di luce’ e che è tale in quanto la luce al suo interno viene assorbita dall’orizzonte degli eventi”, ha aggiunto il direttore Rezzolla, riferendosi al confine che separa un buco nero dallo spazio che lo circonda.
Sorge spontanea la domanda: perché si è fotografato proprio il buco nero della galassia M87?
Sorge spontanea la domanda: perché si è fotografato il buco nero della galassia M87 anziché Sgr A*, che è quello della nostra galassia?
Il motivo è presto detto, e lo chiariscono i colleghi della nota pagina Facebook Chi ha paura del buio: “Il team di EHT si è concentrato su M87 perché è più “fermo”. Avete mai provato a fotografare qualcuno che si sta muovendo in continuazione? È difficile, vero? Ecco, EHT con Sgr A* ha riscontrato la stessa difficoltà: l’immagine cambiava troppo rapidamente per riuscire a ottenere un’immagine abbastanza nitida. Ma prima o poi ce la faranno, e forse presto scopriremo anche il volto di Sgr A*”.
Per ottenere questa immagine, l’elaborazione ha necessitato di 6 metri cubi di hard disk, per immagazzinare i 350 terabyte di dati al giorno provenienti dai telescopi.
La fotografia quindi, combacia alla perfezione con la descrizione di un buco nero finora ipotizzata tramite la teoria della relatività generale.