Il 5G sta arrivando sul mercato globale e si parla di rivoluzione, poiché sarà un’innovazione delle reti mai vista prima. Si parla sempre più spesso di questo nuovo tipo di connessione e durante l’ultimo Mobile World Congress di Barcellona, molte sono state le discussioni circa le integrazioni tra le infrastrutture, i servizi e la rete. L’avvento di tale tecnologia sta portando però a numerosi dibattiti sulle conseguenze di questa connessione sul nostro corpo.
Questo perché il 5G rappresenta una novità dal punto di vista delle frequenze su cui viaggia la rete. E’ più potente, permetterà uno streaming in tempo reale, download e upload di contenuti multimediali in tempi ridottissimi, IoT, applicazioni nelle fabbriche e nelle industrie per connettere sempre più le macchine con l’uomo. Appare evidente che bisognerà anche effettuare un rinnovamento completo delle infrastrutture per adeguarle alla nuova rete.
Proprio a tale proposito, sono intervenuti i primi “detrattori del 5G”. Gli scienziati infatti stanno esprimendo le loro perplessità in materia di 5G.
Cosa comporta la nuova tecnologia?
Secondo il dott. Martin Pall, docente universitario presso la Washington State University, vi è un serio e reale pericolo dovuto alla nuova connessione. Pall afferma in un’intervista presso un giornale russo, che teme il 5G per le frequenze utilizzate e per il livello degli impulsi della nuova rete.
Di fatto i campi elettromagnetici a impulsi sono più attivi di quelli senza impulsi e ciò provoca un sovraccarico di calcio nelle cellule umane. Tale conseguenza quindi porta spesso al manifestarsi di numerose malattie fisiche e mentali. Infatti tali radiazioni cambierebbero la struttura molecolare del cervello, e rappresenterebbero un pericolo nella variazione dei termini cardiaci e nella diminuzione della fertilità.
L’obiettivo primario degli scienziati al momento è verificare se effettivamente il 5G potrebbe causare tali problematicità per gli esseri viventi.
Secondo queste teorie catastrofiste, l’uomo rischierebbe l’estinzione entro 5 o 7 anni.
Al momento senza dati certi, tali affermazioni ci sembrano un po’ esagerate, ma se così fosse, bisognerebbe trovare delle soluzioni per non mettere a rischio la salute dell’uomo.