Il 5G porterà un sostanziale cambiamento nelle nostre vite quotidiane. Rispetto ai predecessori, esso rappresenta una connessione molto più a fuoco sui servizi offerti al cittadino, sia in maniera più diretta (smart security, pronto soccorso, smart cities) sia più indirettamente (andando a supportare la produzione industriale).
L’immensa quantità di applicazioni, visibile in alcune parti del mondo dove il 5G risulta già attivo e fruibile, fa del nuovo standard di connessione una rete radicalmente diversa da ciò che comunemente siamo abituati ad intendere per connessione mobile. Oltre alla velocità implementata quasi all’inverosimile, si aggiungono un’altissima affidabilità, un più che valido sistema di sicurezza e, come detto, ambiti d’applicazione estremamente disparati.
D’altra parte, questa marea di applicazioni deve pur essere supportata in qualche modo: l’infrastruttura a sostegno del 5G è decisamente più potente rispetto a quelle ideate finora per connessioni destinate all’uso dei cittadini. E questo non è positivo: stando a quanto dichiarato da questo scienziato, il 5G ci porterà all’estinzione nel giro di pochissimi anni.
A fare quest’affermazione così pesante è uno scienziato di prim’ordine, che per anni si è dedicato alla ricerca sugli effetti delle radiazioni sull’organismo umano. Si tratta di Martin Pall, Professore Emerito presso la Washington State University, che si scaglia non tanto contro il 5G in sé, quanto piuttosto contro chi ha permesso che il 5G venisse sdoganato senza effettuare neppure un test che ne garantisse la sicurezza dal punto di vista biologico.
7 anni per l’estinzione è una data indicativa di quando gli effetti delle radiazioni emesse saranno ormai irreversibili, determinando un aumento catastrofico dell’infertilità e quindi la materiale impossibilità di proseguire la specie.
Si tratta di un numero indicativo e provocatorio, ma in realtà non siamo così lontani dall’effettiva realizzazione di questa prospettiva.