Quando usiamo i social network in ufficio o al di fuori dell’orario di lavoro siamo convinti di avere la libertà di pubblicare ciò che vogliamo. Ma quando siamo in possesso di un telefono aziendale e lo usiamo per chattare su Facebook, non vi deve sorprendere che parlar male del vostro capo o svelare segreti industriali vi porti al licenziamento.
Una segretaria di un’azienda ha perso il posto di lavoro per questo, la quale ha usato lo smartphone del lavoro per ore di conversazioni private mentre era in ufficio, spiattellando via social dati sensibili del team e contatti segreti. Per questo, il Tribunale di Bari ha confermano la legittimità del licenziamento per giusta causa della dipendente.
La sua sfortuna è stata di rimanere a casa per malattia
. Infatti, nel periodo di astensione dal lavoro, la segretaria ha restituito il telefono aziendale incriminato sul quale il datore di lavoro ha rinvenuto tonnellate di messaggi compromettenti per il suo business. Sebbene la donna si sia appellata al Garante della privacy per l’illecita acquisizione dei dati, nulla ha potuto evitare l’acquisizione di quelle prove atte a costruire la difesa in giudizio. Per giunta, il telefono, le era stato dato dal suo capo e non era di proprietà della donna.Pertanto, i giudici del foro di Bari hanno ritenuto ammissibili gli screenshot dei messaggi privati in udienza. E purtroppo, dai contenuti di tali conversazioni, la colpevolezza della segretaria è stata giudicata di una gravità tale da ledere irrimediabilmente il rapporto di fiducia con l’azienda. La sentenza di licenziamento è divenuta pertanto operativa senza appello.