Come riporta uno bellissimo libro scritto da Cosimo Accoto, ricercatore al MIT, sull’impatto che avrà l’automazione e la robotica nel nostro quotidiano, nel 2017 la vendita mondiale di robot industriali è salita del 30%: un trend in positivo da quasi dieci anni di nuovo alimentato dai mercati asiatici. In Europa noi Italiani siamo quelli che investono di più in questo settore, poiché nel 2017 abbiamo avuto un tasso di crescita del 19%, superiore al Giappone, Germania e Stati Uniti.
A farla da padrone, neanche a dirlo, è la crescita del 59% avvenuta in Cina, soprattutto nell’automatizzazione dell’industria manifatturiera. A rinforzo di questi dati, McKinsey & Company rilasciava un report nel 2018 dal titolo The Automation Imperative, affermando che “l’automazione industriale e l’intelligenza artificiale trasformeranno la nostra società in maniera profonda“. Un business che, secondo l’istituto di ricerca Gartner, arriverà nel 2022 a toccare i 2,4 miliardi di dollari.
Ma già oggi grandi pezzi del nostro tessuto industriale sono dominati dalla robotica
, dove macchine movimentano e mantengono enormi quantità di merci. Dalla manifattura, passando per lo stoccaggio nei magazzini, fino ai centri di elaborazione dati, parliamo di un ecosistema determinante per gli esseri umani, di cui però non ne facciamo sostanzialmente parte. Luoghi in cui il lavoro dell’uomo non è necessario, oppure ritenuto non efficiente; spazi che funzionano al meglio proprio per l’assenza della forza lavoro umana.Per questo, parafrasando con una bagno di modestia l’autore del libro che ho citato all’inizio, si sta profilando forse un cambio di paradigma epocale nella nostra società. E non è detto che la cultura, le istituzioni e le imprese siano pronte ad accogliere il cambiamento. C’è bisogno infatti di cambiare prospettiva, linguaggio, categorie del pensiero solo per riconoscere la natura profonda della trasformazione che noi stessi abbiamo posto in essere. Un nuovo modello sociale tutto da scoprire, di cui stiamo solo intravedendo i contorni.