Il termine “casa intelligente”, ossia la cosiddetta Smart Home, esiste ormai da tempo. Per decenni, si è diffusa l’idea di una casa che può parlare con te e fare tante cose al posto tuo. Tuttavia, Google non vuole più usare quel termine, preferisce che le case siano utili prima di essere smart.
È comprensibile l’osservazione dell’azienda, soprattutto perché il termine “intelligente” è ampiamente abusato con gli smartphone. Rishi Chandra, vicepresidente del Product and General Manager di Google Nest, ha parlato con Forbes del termine Smart. Chandra dice che preferirebbe coniare altri termini per i suoi prodotti per arrivare dritto al dunque, senza perdersi tra la miriade di prodotti ormai definiti tutti intelligenti.
Ad esempio, Google ha lavorato per personalizzare ulteriormente Google Assistant soprattutto in relazione ai vari dispositivi associati. Abbinare la tua voce o la tua faccia alle azioni ha creato un ambiente in cui una persona può chiedere quale sia il suo programma per la giornata senza doversi preoccupare di identificarsi. Tuttavia, si ottengono ugualmente informazioni personalizzate, ad esempio andare al lavoro o a scuola, o altre cose da fare.
Google ha deciso di rivoluzionare il concetto di casa intelligente concentrandosi sul concetto di casa utile
Chandra parla inoltre di problemi di privacy con l’IoT, dispositivi domestici intelligenti, e naturalmente anche con i prodotti Google Nest. Avere un obiettivo che tutto il tempo può dare a una persona la possibilità di spiare la propria famiglia o proprietà è spaventosa in ogni scenario. Questo è uno dei motivi per cui alcuni prodotti dotati di fotocamere, come Google Nest Hub Max, sono dotati di coperture fisiche che possono impedire l’accensione di queste fotocamere finché non le si desidera.
L’interoperabilità è il problema che Chandra sta cercando di risolvere in questo ciclo di prodotti “utili per la casa”. Spesso si scopre che servizi come IFTTT sono l’unica cosa che collega molti di questi prodotti insieme. Anche se IFTTT è semplice da usare ed è incredibilmente robusto, è una soluzione di terze parti da revisionare. Chandra paragona questa debacle al problema del browser che affliggeva i web designer e i consumatori negli anni ’90. Certe pagine web funzionavano solo con determinati browser e gli sviluppatori dovevano creare molte versioni diverse della stessa cosa per lavorare con tutte le opzioni software esistenti.