Attenzione a tutto quello che scrivete, dite o mandate su Whatsapp o nelle email, poiché potrebbe essere usato contro di voi in una eventuale causa in tribunale. È questo il succo della nuova sentenza della Cassazione del 17 luglio 2019, la quale è stata scritta sulla base delle prove documentali di messaggi sulla chat e di email come prova di giudizio civile.
Sulla possibilità o meno che si rendesse tangibile l’intenzionalità espressa in un messaggio per portarla come prova al processo, e ora la sentenza del terzo grado di giudizio sembra aprire questo nuovo capitolo.
WhatsApp ed email: la Cassazione stabilisce nuove fonti di giudizio
Prima di questa sentenza non era possibile portare come prove le comunicazioni digitali di chat e email, quest’ultime solo se inviate via PEC. La decisione della Corte di Cassazione cambia tutto e pone i messaggi digitale una fonte di diritto d’importanza cruciale nell’economia di un processo civile. Per la cronaca, la sentenza della Corte è la n. 19155/2019 del 17 luglio 2019.
Inoltre nel dispositivo emesso emerge che chi dovrà dimostrare l’invio e la ricezione di un messaggio non sarà più il mittente bensì il destinatario, il quale dovrà provare concretamente la sua estraneità al testo. Parlando di esempi pratici, prendiamo in esame la materia della sentenza della Cassazione: un padre ha negato di aver mai concesso alla sua ex moglie la retta per l’asilo del figlio, quando in realtà l’uomo avrebbe acconsentito alla spesa tramite SMS. La Cassazione ha dunque utilizzato tale prova ponendo per la prima volta alla pari il messaggio digitale con quello cartaceo.