Che sia una geniale trovata commerciale oppure no, Chernobyl continua a far parlare di sé attraverso la produzione di una vodka, chiamata Atomik, realizzata con materie prime provenienti dall’area contaminata intorno alla centrale. Il distillato è il frutto di un esperimento scientifico anglo-ucraino sostenuto da fondi governativi, ma gli autori sono convinti che potrebbe rivelarsi un crack commerciale. Il perché è presto detto: le analisi sul liquido contenuto in Atomik confermano che è totalmente privo di radioattività.
Incredibile, ma vero. Chernobyl, a parte dei brevi tour turistici di curiosi, non poteva sostenere alcuna attività umana nella zona di alienazione e la produzione di generi alimentari era altrettanto impossibile. Eppure il lavoro dei ricercatori dell’Università di Portsmouth insieme ai colleghi ucraini ha prodotto una bevanda senza radiazioni, partendo da coltivazioni di segale e acqua provenienti dall’area off limits intorno alla centrale.
Chernobyl esplode di nuovo, ma questa volta è colpa della vodka
Il professor Jim Smith del team inglese ha confermato che sia la segale raccolta che l’acqua utilizzata per la distillazione avevano un livello di radioattività preoccupante. Tuttavia, il prodotto finale ha destinato tutte le impurità tra gli scarti, consentendo di ottenere una vodka innocua pronta per essere commercializzata.
Secondo un esperto di cocktail a base di vodka, la Atomik ha un sapore più fruttato rispetto al solito distillato a cui siamo abituati, mentre permane netta la nota di segale. Infine, l’accostamento ritenuto più adatto per utilizzare Atomik in un cocktail è con lo champagne.
Quindi, messa da parte ogni tipo di perplessità, questo successo in laboratorio potrebbe rappresentare davvero il rilancio dell’imprenditoria locale in un tessuto sociale da troppo tempo nella soglia della povertà. Il ciclo produttivo potrebbe sfornare entro la fine del 2019 fino a 500 bottiglie, e l’obiettivo dei ricercatori è costruire un business attorno al brand The Chernobyl Spirit Company che possa vendere la sua vodka ai turisti in visita nella zona di alienazione, sfruttando territori coltivabili che nessun altro vorrebbe per le inevitabili contaminazioni della terra.
Dal punto di vista legale e normativo però il percorso è comunque ancora lungo, visti i divieti di utilizzo del suolo e di coltivazione tutt’ora in vigore.