Nuove domande nascono sempre più frequentemente in merito ad una delle questioni che fin dal principio continua a sollevare dubbi. Quanto sono pericolosi per l’incolumità dell’uomo i ripetitori telefonici?
Alcuni studi hanno portato a galla notizie importantissime a riguardo, sollevando anche un certo stato di allerta. Ad essere presi come cavie, alcuni topi che hanno dimostrato un forte rischio anche all’interno delle soglie considerate “sicure”. Il tutto parte ufficialmente da uno studio condotto dall’Istituto Ramazzini di Bologna, con l’ausilio del Centro di Ricerca sul cancro Cesare Maltoni. I risultati dello studio sono stati in seguito pubblicati sulla rivista internazionale Environmental Research che però ha rimosso l’articolo dal sito apparentemente per “motivi tecnici”.
Lo studio sui ripetitori telefonici lancia l’allarme
La ricerca condotta dal Ramazzini ha portato al risultato che le esposizioni alle radiofrequenze addirittura di mille volte inferiori rispetto a quelle utilizzate in un’analisi condotta in precedenza del National Toxicologic Program negli USA, hanno portato a galla gli stessi tipi di cancro.
I topi sottoposti allo studio hanno dunque riportato tumori alle cellule nervose, più specificamente gli esemplari maschi. Inoltre è stato scoperto anche un sensibile aumento di altre problematiche come l’iperplasia delle cellule di Schwann e gliomi maligni nei ratti femmine alla dose di radiofrequenze più elevate. Queste le parole in merito da parte di Fiorella Belpoggi, direttrice dell’Area Ricerca del Ramazzini:
Il nostro studio conferma e rafforza i risultati del National Toxicologic Program americano. Non può infatti essere dovuta al caso l’osservazione di un aumento dello stesso tipo di tumori, peraltro rari, a migliaia di chilometri di distanza, in ratti dello stesso ceppo trattati con le stesse radiofrequenze. Sulla base dei risultati comuni, riteniamo che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) debba rivedere la classificazione delle radiofrequenze, finora ritenute possibili cancerogeni, per definirle probabili cancerogeni.”