Gli smartphone attirano la nostra attenzione. Siamo disposti a tutto pur di avere l’ultimo ritrovato tecnologico con fotocamere all’avanguardia e prestazioni al top. Una situazione che rimanda però a diversi problemi paralleli che si ripercuotono sull’ambiente. Tra non molto potremmo essere costretti a non cambiare telefono. Dopo i dati analizzati dall’EEB (European Environmental Bureau) la Commissione Europea ha presentato il resoconto sulle emissioni nocive di CO2 causate dai dispositivi elettronici. Ecco quello che si è appena scoperto.
Smartphone ed ambiente: i telefoni inquinano più del dovuto, sono necessarie nuove manovra di contenimento per l’inquinamento ambientale
Tutti a parlare del nuovo trend dei motori elettrici e dei risultati inaspettati emersi dai rapporti sul confronto diesel – elettrico. Ma il pericolo potrebbe essere a “portata di mano”. Stando al parere degli attivisti le attuali normative europee dovrebbero concentrarsi sull’impatto climatico generato dalla produzione degli smartphone piuttosto che sull’ottimizzazione energetica post-produzione. Secondo i dati un intervento di questo tipo sarebbe da paragonare all’eliminazione di tutte le auto ad oggi presenti in Danimarca. Uno stato con oltre 6 milioni di abitanti automuniti
Lo studio prosegue affermando che per rientrare nei parametri uno smartphone dovrebbe essere utilizzato per oltre due secoli prima di essere smaltito e sostituito con un nuovo modello. Ciò sarebbe sufficiente per contenere e compensare le emissioni generate dal processo di produzione. Per un’aspirapolvere, invece, servirebbero circa venti anni.
Jean-Pierre Schweitzer dell’EEB ha espresso la sua personale considerazione al riguardo:
“L’impatto climatico della nostra cultura usa e getta è troppo alto. Non possiamo permetterci di continuare a sostituirli ogni pochi anni. Abbiamo bisogno di prodotti che durino più a lungo e possano essere riparati in caso di rottura”.
Per quanto una tale tempistica non possa essere auspicabile ed applicabile, gli attivisti chiedono almeno il diritto alla riparazione che proponga interventi minimi di sostituzione a fronte di componenti più durevoli ed affidabili. In questo frangente rientra il contesto dell’obsolescenza programmata già discussa in Francia, dove vige l’obbligo di assegnazione dell’etichetta indicativa con indice a limite 10 quale indicatore della riparabilità.
In Europa il Consiglio Europeo ha stabilito che le aziende dovranno rendere disponibili i pezzi di ricambio per 7 anni dalla commercializzazione di ogni nuovo prodotto, che salgono a 10 per le lavatrici. Nonostante questo i rappresentati Apple e Samsung, tanto quanto la Commissione Europea, non hanno ancora espresso un loro parere.