Negli ultimi mesi la tematica ambientale è tornata al centro del dibattito pubblico, soprattutto a seguito delle mobilitazioni nell’ambito dei Fridays for Future indetti dall’ormai celeberrima Greta Thunberg.
La Terra si sta ribellando ai nostri soprusi: basti pensare agli incendi che hanno colpito la Siberia quest’estate o al rapido scioglimento del permafrost, che potrebbe sprigionare e far tornare in vita tantissimi batteri e virus finora ibernati. Ma tra le prospettive apocalittiche che si potrebbero affacciare alla mente in questo momento, una fra tutte si pensava fosse secondaria mentre invece potrebbe rivelarsi fatale: l’eruzione di un supervulcano.
L’ipotesi, portata avanti dagli scienziati dall’Arizona State University, si basa sull’analisi di alcuni minerali ritrovati presso il vulcano Yellowstone, negli Stati Uniti. Secondo quanto spiegato dalla dottoressa Hannah Shamloo
, facente parte del team che ha condotto gli studi, la rapidità con cui un supervulcano può trasformarsi dallo stato quiescente allo stato di piena attività è estremamente elevata.Questa consapevolezza ha messo in allarme la comunità scientifica, perché si riteneva che che una nuova eruzione sarebbe avvenuta a distanza di diverse migliaia di anni. Invece, dall’analisi di questi minerali il tempo restante sembrerebbe essersi contratto notevolmente: una nuova eruzione, infatti, potrebbe arrivare fra non più di qualche decennio.
Benché l’evento interessi al momento i soli Stati Uniti, il bilancio sarebbe di dimensioni catastrofiche: ben 87.000 civili perderebbero la vita a seguito dell’eruzione (non per la lava, quanto piuttosto per i fumi emanati), e il risultato renderebbe i due terzi del Paese totalmente inabitabili.