Di teorie sulla fine del mondo se ne sente parlare quasi ogni giorno. Negli ultimi anni, complici alcune profezie provenienti da lontane tradizioni e la risonanza mediatica data ad alcuni personaggi, il tema dell’apocalisse è tornato prepotentemente nel dibattito pubblico. Anche se l’impatto più forte lo hanno avuto i recenti disastri naturali a cui abbiamo assistito impotenti quest’estate. Basterebbe pensare agli incendi che hanno bruciato la Siberia e l’Amazzonia (quest’ultima vittima dell’umana scelleratezza) per avere un’idea della criticità della situazione.
Eppure, tra le tante ipotesi sull’apocalisse, una in particolare è stata sempre meno considerata di quanto non si dovrebbe. E a dirlo è uno studio dell’Arizona State University.
Non sarebbe infatti troppo assurdo che la nostra apocalisse avesse un incipit a causa dell’eruzione esplosiva di un supervulcano. Di chi stiamo parlando? Dello Yellowstone, negli Stati Uniti d’America.
Le ricerche condotte da un team di scienziati dell’Arizona State University, tra cui la dottoressa Hannah Shamloo, hanno rivelato che la prospettiva di un’eruzione esplosiva dello Yellowstone non è così lontana quanto si credeva inizialmente.
Infatti, dall’analisi di alcuni minerali nei pressi del vulcano, si è potuto dedurre che mancherebbero poche decadi ad una possibile catastrofe naturale e climatica derivante dall’eruzione di questo supervulcano. Che fra l’altro non sarebbe effusiva, ma esplosiva, dal momento che si è formato un tappo al di sopra dei camini principali, non consentendo (come invece avviene ad esempio per l’Etna) un lento rilascio di fumi e materiale magmatico.
L’evento sarebbe improvviso ed estremamente infausto, provocando la morte di oltre 87.000 civili e rendendo inabitabili quasi due terzi degli Stati Uniti. Incalcolabili, poi, sarebbero gli effetti sul clima e sugli ecosistemi, che subirebbero cambiamenti praticamente irreversibili.