Da qualche tempo a questa parte, il dibattito sulla privacy degli utenti è tornato a imporsi al centro delle discussioni pubbliche. Questo è avvenuto soprattutto a seguito di una serie di scandali che hanno interessato l’utenza, soprattutto quelli che hanno attirato maggiormente l’attenzione a livello mediatico, come lo scandalo di Cambridge Analytica.
Se fino a questo momento gli utenti non potevano dirsi totalmente sicuri di come fossero impiegati i propri dati da parte di chi li raccoglie per varie finalità (siti e social network), ad oggi questa domanda non ha ancor più trovato risposta. E la preoccupazione cresce soprattutto in relazione ad una serie di nuovi strumenti informatici utilizzati per aumentare le misure di sicurezza.
Basti pensare alla CIE, la carta d’identità elettronica, di cui si parla da circa 15 anni ma che solamente ora ha trovato espressione e piena realizzazione. Il nuovo documento in formato digitale consentirà un maggior controllo anti-frode, determinando una più certa impossibilità nel falsificare la CI.
E questo è determinante, dal momento che il meccanismo di molte truffe si basa proprio sulla produzione di documenti falsi indistinguibili dagli originali, per perseguire intenti illegali.D’altra parte si è sempre discusso sul fatto che creare archivi digitali di dati così sensibili esponesse gli utenti ai rischi connessi appunto alla digitalizzazione di queste informazioni. Gli archivi in cui sono custoditi i dati, però, sono stati concepiti proprio per eludere qualsiasi tentativo di furto dati.
Inoltre, anche nella trasmissione da un ufficio amministrativo all’altro per la creazione di questa banca dati, la comunicazione è stata resa univoca è talmente sicura da non consentire uno stravaso di informazioni.