La fusione nucleare è sempre stato un traguardo a cui gli scienziati anelano per poter portare davvero la razza umana nel futuro. A livello di concetti fisici è stata compresa facilmente, ma la realizzazione di un reattore a fusione per produrre energia pulita è ancora di là da venire.
Tuttavia, una nuova ventata di aria fresca è arrivata nel 2018 dal Breakthrough Energy Ventures (BEV), un fondo di investimento che ha stanziato 5 milioni di dollari nello sviluppo di una start up nata nei laboratori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) che punta la produzione di energia da fusione nucleare entro i prossimi 15 anni.
Dietro gli sforzi economici di BEV ci sono nomi dell’imprenditoria digitale molto interessati a questo settore: parliamo di magnati come Bill Gates, Jeff Bezos, Michael Bloomberg, il fondatore di Alibaba Jack Ma e Richard Branson. In Italia c’è stato l’interesse di ENI, la quale nel 2018 ha investito proprio nella start up del MIT rilevando una grossa quota del capitale dell’azienda americana.
Di certo il processo di fusione nucleare è una reazione diversa da quella della fissione, impiegata nelle bombe atomiche e nelle attuali centrali nucleari. L’energia prodotta dalla fusione nucleare è potenzialmente inesauribile e non rilascia rifiuti residuali dannosi per l’ambiente. In più, se riuscissimo a padroneggiare tale potere potremmo davvero pensare di costruire motori per astronavi dirette all’esplorazione di pianeti e altri sistemi solari senza patire le lunghe distanze.
Come detto però, di fusione si parla da lungo tempo e nemmeno le super potenze USA e URSS durante la Guerra Fredda ne sono venute a capo con un prototipo stabile e funzionante. Perché la fusione possa avvenire sul nostro Pianeta
serve una pressione gravitazionale talmente alta da permettere agli atomi di raggiungere lo stato di plasma, riscaldati nel frattempo a 50 milioni di gradi da una miscela di deuterio e trizio (isopoti dell’idrogeno). Nel plasma protoni ed elettroni superano la loro repulsione e si fondono in nuovi nuclei atomici. Gli scarti del processo, in questo caso un’enorme quantità di calore rispetto a quello di partenza, permettono di produrre energia elettrica.
La soluzione adottata dalla start up CFS è il contenimento magnetico del plasma in una struttura a ciambella teoricamente in grado di contenere una fusione che raggiunge fino a 100 milioni di gradi. Se la tecnologia andasse in produzione, si prospettano investimenti per 3 miliardi di dollari per costruire il reattore a fusione e la centrale operativa dal 2033.
Ma anche l’Europa potrebbe ospitare un suo reattore a fusione entro pochi anni, visto che il progetto ITER dal 1985 non è mai stato abbandonato nel sud della Francia. La vera e propria centrale in grado di produrre energia dovrebbe essere realizzata solo tra il 2040 e il 2050.
Anche la Cina ha annunciato la realizzazione di una sua versione di reattore a fusione nucleare, denominata Chinese Fusion Engineering Test Reactor (CFETR), mentre il Giappone sta sviluppando una tecnologia diversa che si chiama Stellarator.