Quando si sente nominare il teletrasporto, inevitabilmente lo si associa a qualcosa di estremamente futuristico, se non addirittura fantascientifico, dal momento che siamo stati ben abituati dalle moltissime produzioni cinematografiche che ne hanno descritto le potenziali caratteristiche.
Sorprenderà dunque sapere che il teletrasporto esiste davvero, e non è relegato esclusivamente alla fantasia di qualche scienziato visionario. E viene anche utilizzato parecchio, ai giorni nostri, in alcuni specifici ambiti dell’informatica. Ma su cosa si basa, precisamente?
Il meccanismo di funzionamento risulta fondato sul principio dell’entanglement quantistico, ossia la reciproca influenza di due particelle entrate a contatto in un momento qualsiasi della propria esistenza.
Fu Einstein fra i primi a parlare diffusamente di questo fenomeno, meglio descritto da altri scienziati che lo seguirono – in particolare Heisenberg. Si era notato infatti che secondo alcuni principi della fisica quantistica, sembrava possibile che due particelle, provenienti da un’interazione comune iniziale e spedite successivamente in direzioni diverse
(anche a milioni di km di distanza), continuassero l’un l’altra ad influenzarsi. Come? Trasferendo, ad esempio, degli stati quantistici.Le prime tipologie di teletrasporto quantistico sono state effettuate su due dimensioni, nello specifico “0” e “1”. Quest’unità bidimensionale è definita qubit, e la maggior parte dei computer quantistici acquisisce, elabora e trasferisce informazioni secondo questo schema binario.
D’altra parte, recentemente due team di ricerca – in maniera del tutto indipendente l’uno dall’altro – hanno dichiarato di aver effettuato il primo trasferimento multidimensionale, andando così a creare il qutrit, che aggiunge la dimensione “2” alle precedenti.
Cosa implica tutto questo? Senza dubbio velocità di calcolo nettamente superiori per i computer quantistici, con risvolti che potrebbero essere applicati perfino alle nostre reti di trasmissione dati.