L’evasometro è iniziato quest’estate e si aggiunge al primo parametro da parte del fisco, ad altri strumenti come il redditometro, messo in stand by lo scorso anno dal Decreto dignità ma ancora in vigore per gli anni arretrati fino al 2015, proprio per individuare gli evasori.
In realtà l’evasometro non è uno strumento recente: era già stato introdotto dal governo Monti nel 2012 con la nomenclatura di risparmiometro, ma per renderlo effettivo ci sono voluti sette anni. Con questo strumento, in aggiunta alla fattura elettronica e scontrino elettronico si conta di recuperare tra i 10 e i 15 miliardi.
Il meccanismo dell’evasometro è fondato su un algoritmo che incrocia i movimenti bancari dei contribuenti con i redditi comunicati al fisco. Chi esegue i controlli ha a disposizione un enorme database con le comunicazioni bancarie e altri dati utili che possono così essere incrociati. In caso di spese eccessive rispetto a quanto viene dichiarato nella documentazione , scattano ulteriori verifiche della Guardia di Finanza.
In questo senso un ruolo importante giocheranno i compensi percepiti, quelli di cui l’Agenzia delle Entrate è a conoscenza grazie alle informazioni che il contribuente è tenuto ad inviare. Tali dati vengono poi dalle informazioni fornite con lo spesometro e la comunicazione delle fatture, cosicché il Fisco completa il quadro degli incroci.
Va ricordato che oggetto di valutazione sono anche i siti internet dell’attività svolta dal contribuente. I servizi offerti e pubblicizzati in questo ultimo caso devono essere coerenti con quanto dichiarato al Fisco, poiché più sono maggiori i divari tanto più aumentano i rischi di essere sottoposti ad un controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza.