L’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica dedicata a Chernobyl nel corso degli ultimi mesi ha prodotto dei risultati impensabili. Merito sicuramente dell’approvazione ricevuta dalla serie omonima della HBO, andata in onda lo scorso anno. La trasposizione sul piccolo schermo ha infatti permesso al pubblico di figurarsi un quadro più preciso di quanto avvenuto, rispetto alle informazioni centellinate e controllate che si diffusero all’epoca dei fatti.
Una delle ossessioni del regime comunista a capo dell’URSS, all’indomani del disastro ucraino, fu proprio quella di insabbiare quanto più possibile gli effetti reali che l’esplosione del reattore causò alle città circostanti, al territorio intero e a gran parte dell’Europa orientale. Fin dalla prima puntata questo concetto è stressato ampiamente, e gli spettatori si ritrovano coinvolti emotivamente nello sgomento generale dinanzi al rifiuto perentorio (da parte delle autorità) di considerare la situazione per la sua reale gravità.
L’occhio di bue che Chernobyl si è ritrovato puntato addosso all’improvviso, dopo oltre 30 anni dalla tragedia, ha dunque stimolato enormemente il dibattito civile sulla questione. Tanto da indurre una delle massime autorità in ambito di cronistoria della sicurezza nazionale americana, il National Security Archive, a pubblicare documenti inediti sulla gestione del disastro da parte dell’allora governo sovietico.
Ciò che emerge dalla lettura dei documenti ufficiali è davvero agghiacciante.
Molte delibere dimostrano ancor più l’imperterrito tentativo di tenere il mondo all’oscuro di quello che all’epoca rappresentava un fallimento epocale, una macchia inestinguibile sulla reputazione estera del regime sovietico.