L’esigenza degli utenti di ricevere la garanzia della sicurezza per i propri dati ha fatto nascere la necessità di modificare il formato dei principali documenti degli italiani.
In particolare, i documenti che sono già stati sottoposti a tale modifica corrispondono alla tessera sanitaria, con l’introduzione della tessera sanitaria elettronica, e la carta d’identità, anch’essa divenuta elettronica (CIE).
Nello specifico, la carta d’identità elettronica è il documento di riconoscimento di più recente introduzione per i cittadini. Richiederla presso gli uffici di competenza ha determinato una serie di problematiche, come code troppo lunghe o sportelli non attrezzati per l’afflusso di italiani che si sono recati a modificare il proprio documento.
Ma è tutto compensato dalla necessità di garantire ai cittadini nuovi standard di sicurezza sui propri dati, che ora sono custoditi all’interno di banche dati di massima segretezza.
L’arrivo della CIE ha anche acceso un forte dibattito sulla quantità di informazioni sensibili contenute all’interno del chip di cui la carta è dotata. Non solo tutti i riferimenti e le generalità del cittadino, ma anche le sue impronte digitali.
Questo ha creato sgomento, inizialmente, per il timore che questi dati potessero essere in qualche modo estratti e clonati, nonché poi utilizzati per scopi truffaldini da parte di malfattori e hacker di ogni tipo.
D’altra parte, quest’eventualità è estremamente remota. Anzitutto, perché i dati depositati al momento della richiesta di creazione del documento non sostano presso gli uffici competenti o l’anagrafe, ma vengono direttamente inviati alla banca dati centrale di massima sicurezza. In secondo luogo, perché a differenza del documento cartaceo, su quello digitale ci sono molti più identificativi di sicurezza, che impedirebbero una clonazione o una falsificazione del documento.