Dopo che parte del Web ha gridato alla bufala o all’impossibile, il tracciamento dei movimenti dei cittadini italiani attraverso gli smartphone per limitare la diffusione del coronavirus trova un sostenitore nel governatore del Veneto Luca Zaia. Nonostante l’onorevole rilevi ci sia una problema di privacy, sostiene che l’emergenza possa in quache modo giustificata.
Dall’altro lato TIM, Wind Tre, Vodafone e altri operatori telefonici sarebbero disposti a fornire i dati, avendo però a disposizione uno strumento normativo da parte dell’Autorità che li scarichi di responsabilità sul tema del GDPR (General Data Privacy Regulation). In Italia pare si sia ricorso a questo strumento di tracciamento solo una volta in questo periodo in Lombardia, ma dovremmo capire come la pensano i cittadini.
All’estero la situazione è stata ben diversa, poiché in molti stati non si sono posti il problema di chiedere alla popolazione cosa ne pensassero del tracciamento GPS. In Israele i servizi segreti monitorano gli spostamenti dei cittadini risultati essere positivi al coronavirus. Un accesso ai dati sensibili che il premier Netanyahu ha ottenuto dal Parlamento per 30 giorni.
In Cina è stata addirittura creata un’app che attingesse a tutti i dati a disposizione del governo compresi i database dei trasporti comprese le compagnie aeree. In più telecamere e droni pattugliavano le città alla ricerca di chiunque non indossasse la mascherina (obbligatoria per tutti nelle zone focolaio).
Infine in Corea del Sud sono stati tutti tracciati e sottoposti a tamponi di massa, circoscrivendo a poche migliaia gli infettati. Tramite un’app, quando una persona risultava infetta venivano tracciati i suoi movimenti degli ultimi 14 giorni. Ci pensava poi l’app ad avvisare le persone entrate in contatto con l’infetto per spingerli a farsi fare un tampone preventivo.