Quando si parla di intercettazioni, l’errore più comune è di pensarle esclusivamente telefoniche. Si tratta infatti di attività che possono essere espletate sia sul traffico telefonico, in entrata e in uscita, sia sui flussi di comunicazione e dati effettuati in forma telematica.
Perché questa pratica resti nei limiti della legalità, però, è necessario che venga svolta per nei casi e per le finalità previste dalla legislazione e dagli articoli 266 e seguenti del Codice di Procedura Penale. È chiaro infatti che questo tipo di eventualità (la necessità di intercettare qualcuno) risulti fortemente lesiva della privacy se non svolta nei termini e nei modi dettati dalla normativa vigente, regolata dal Codice Penale. Per questo motivo, gli organi che possono richiedere tale provvedimento sono il PM (Pubblico Ministero) e la Polizia Giudiziaria.
Le attività di intercettazione consistono in diverse tecniche che fanno capo anche a modalità e standard dettati a livello nazionale e anche internazionale.
Come spiegato da Axerta, società specializzata in Investigation Consulting, esse vengono prodotte sotto “richiesta, da parte della polizia giudiziaria, agli operatori che gestiscono la Rete di telefonia generale RTG o PSTN (Public Switched Telephone Network) di adempiere obbligatoriamente alle richieste dell’Autorità Giudiziaria mediante l’utilizzo delle proprie strutture tecnologiche ed organizzative.
In pratica gli operatori telefonici intercettano, cioè duplicano le linee telefoniche obiettivo dell’indagine, in maniera completamente trasparente all’utilizzatore (che così non si accorge di essere intercettato), verso il Centro Intercettazioni Telefoniche (CIT) della Procura della Repubblica da cui è partita la richiesta”.
Qualsiasi altra forma di intercettazione o di tentata intercettazione appare pertanto del tutto illegale.