Come ben sappiamo nel mondo moderno siamo immersi in un mare di invisibili onde elettromagnetiche, queste radiazioni sono da considerarsi appunto una fonte di energia, dissipata sotto forma di onde a differente potenza.
Anche lo standard WiFi presente nei nostri salotti ovviamente aderisce alla classificazione di onda elettromagnetica, rientrando nello spettro di frequenza dei 60Ghz.
Ecco dunque che entra in ballo il concetto di Energy Harvesting, ovvero il racimolare energia, processo attraverso cui le comuni fonti di energia ambientale vengono direttamente trasformate in energia elettrica.
I dispositivi Energy Harvesting sono quindi in grado di erogare piccole potenze con il vantaggio che questa energia è liberamente disponibile nell’ambiente in cui il dispositivo è posto, un esempio sono i dispositivi che convertono il moto in potenziale elettrico.
Energy Harvesting dal WiFi di casa
Un gruppo di ricercatori accasati al Massachussets Institute of Technology ha progettato un dispositivo in grado di convertire in corrente continua la radiazione Terahertz ambientale, definita anche Extremely High Frequency (EHF), indica la parte delle onde radio comprese tra 30 e 300 Gigahertz (GHz), la stessa adoperata nei nostri modem senza fili.
Il dispositivo usa una matrice di grafene e di nitruro di boro, permettendo ad una radiazione incidente di generare un flusso di elettroni continuo nella direzione delle radiazione, questo grazie appunto agli effetti quantistici e al comportamento atomico della matrice di carbonio, il grafene per l’appunto.
Questa possibilità è resa possibile però non dal grafene da solo, dal momento che avendo una struttura palesemente simmetrica, espone gli elettroni alle stesse forze, cosa che porterebbe ad una dispersione in tutte le direzione degli stessi a seguito di una radiazione incidente.
Ecco dunque che viene in aiuto il Nitruro di Boro (NB), il quale con la sua conformazione spaziale a nido d’ape, permette di orientare il moto degli elettroni, generando così un flusso, la corrente elettrica appunto.
Ovviamente questo progetto apre ad un enorme sfera di possibilità, come ad esempio la produzione di impianti medicali intracorporei che non necessitano di continui interventi sui pazienti per la sostituzione delle batterie necessarie al loro funzionamento, inoltre l’elettronica di consumo potrebbe beneficiarne per la ricarica dei dispositivi portatili.