Il morbo di Parkinson è una delle malattie neurodegenerative più presenti all’interno della popolazione, essa colpisce principalmente i soggetti con età superiore a 60 anni anche se i primi sintomi iniziano già da 50 anni.
Ovviamente i sintomi in questione li conosciamo, parliamo infatti di tremori importanti soprattutto a livello dell’arto superiore, i quali col progredire della malattia si rendono sempre più insistenti e prepotenti fino a divenire debilitanti per il soggetto affetto.
Questa sintomatologia nasce a causa di un’improvvisa morte dei neuroni presenti a livello della sostanza nera presente a livello mesencefalico, i quali sono coinvolti nella modulazione delle vie dopaminergiche (sensibili alla dopamina), la cui mancanza porta quindi appunto ai segni della malattia conclamata.
Due molecole promettono bene
Una cura definitiva a questa patologia purtroppo non esiste, dal momento che le cellule cerebrali in quanto post-mitotiche, non possono duplicarsi per rimpiazzare quelle andate perdute, quindi al netto di tale situazione, l’unica terapia possibile è quella relativa alla cura dei sintomi e non della malattia.
A quanto pare i ricercatori sono riusciti a trovare due molecole che insieme hanno un ottimo effetto benefico a livello cerebrale, riuscendo a rallentare la progressione del morbo, parliamo della prostaglandina E1 (Pge1) e della prostaglandina A1 (Pga1).
Il loro effetto così benefico deriva dalla loro capacità di legare e attivare la proteina Nurr1, già nota per le sue concentrazioni ridotte proprio nei pazienti affetti dal Parkinson.
Aumentandone l’attività attraverso i due ligandi sopra citati, i topi usati in laboratorio per i test hanno mostrato un notevole miglioramento della loro situazione.
Sebbene tutto ciò non consenta di cantare ancora vittoria, i ricercatori potranno usare la scoperta per produrre farmaci che abbiano come target di attivazione proprio la proteina Nurr1, ovviamente gli studi procederanno ulteriormente.