Nelle ultime settimane abbiamo molto sentito parlare sia di Twitter che di Facebook, per il loro comportamento opposto riguardo alla faccenda Donald Trump.
In molti hanno infatti chiamato, il crescente interventismo del social Twitter in politica interna ed internazionale come “Twitter Diplomacy“. Sicuramente una scelta che si muove su un campo scivoloso, ma Facebook nel frattempo è rimasto a guardare.
Come ricorda The Guardian citando CP Scott, il suo direttore del 1921, “Comment is free… but facts are sacred”, le opinioni sono libere ma i fatti sono sacri. Dopo la pesante controversia scoppiata con Donald Trump, quando Twitter ha precisato errori in due suoi “cinguettii”, provocando la dura reazione dell’inquilino della Casa Bianca che ha firmato un ordine esecutivo anti-social network, che li priva dell’immunità legale contro eventuali cause per i loro contenuti, è ora la volta della Turchia di Erdogan.
Twitter e il governo filo-islamico turco dell’AKP sono ufficialmente “in guerra”, dopo che la stessa piattaforma social ha deciso di sospendere 7 mila account perché ritenuti troll, ovvero falsi e con il solo scopo di sostenere le alterne fortune del presidente Erdogan. La reazione turca non si è fatta assolutamente attendere.
Ecco le parole di Altun, capo della comunicazione della presidenza turca, attaccando Twitter: “La teoria secondo cui questi account sarebbero ‘fake’ per sostenere il presidente, gestiti da un’unica autorità centrale è infondata. La decisione di chiudere questi profili è illogica e presa con un fine politico. La piattaforma americana crede di poter giustificare la propria decisione sulla base di denunce di alcune persone che credono che le proprie idee politiche siano dati scientifici. Siamo dinanzi a un tentativo inaccettabile di colpire il governo turco, compiere propaganda contro la Turchia e sostenere i golpisti e i terroristi del Pkk“.