Vecchie ricette per nuovi problemi, o almeno sembrerebbe questa l’interpretazione che si fornisce a chi ulula a gran voce l’esigenza di un condono fiscale per ripartire da zero e far riprendere l’economia.
Il condono è una delle armi più antiche in fatto di gestione finanziaria, e di tanto in tanto salta fuori qualcuno che, nelle situazioni più disparate, vorrebbe farne uso – forse anche strizzando l’occhio a certe realtà gestionali che del condono avrebbero davvero bisogno.
Solo che a questo grido, stavolta, si è accodata anche l’Agenzia delle Entrate, scatenando non poche polemiche: i pagamenti che non potranno essere più esigibili, per varie motivazioni, costituiscono un carico non indifferente di lavoro per gli addetti, che invece potrebbero impiegare il medesimo tempo in qualcosa di più produttivo.
La famigerata pace fiscale, invocata a più riprese negli ultimi anni e a maggior ragione in questo periodo, sarebbe quindi incarnata dal condono tombale, che formalmente rappresenta “la definizione automatica delle imposte che consente di regolarizzare le imposte relative alle dichiarazioni presentate precedentemente”.
Andrebbe ad essere applicata a contribuenti o debitori che siano falliti o deceduti, nonché sarebbero cancellati i debiti di imprese cessate o di nullatenenti.
D’altra parte, il Governo si è detto al momento non interessato a procedere in tal senso. Condonare i debiti e gli ammanchi non vuol dire solo far tornare alcuni investitori in Italia (con i rispettivi capitali che al momento giacciono all’estero), ma soprattutto “chiudere entrambi gli occhi” verso un numero spropositato di reati che hanno portato ad accumulare un simile capitale e a non renderne conto allo Stato.